La battaglia di Filippi è uno scontro verificatosi nel 42 avanti Cristo nell’ambito delle guerre civili tra il giovane Ottaviano, erede prescelto da Giulio Cesare, Marco Antonio, braccio destro di Cesare durante le campagne militari in Gallia, contro i cosiddetti “Cesaricidi”, Bruto e Cassio, che pochi anni prima avevano organizzato l’assassinio del grande dittatore romano.
La battaglia si svolse in una pianura interna della Macedonia, vicino alla città di Filippi: si tratta di uno dei più grandi e sanguinosi scontri di tutta la storia romana, dove la fazione che voleva ripristinare la Repubblica fu definitivamente sconfitta e dove emerse chiaramente l’azione riformatrice di Ottaviano e di Antonio, che si sarebbero infine scontrati tra loro per via di interessi inconciliabili.
Le rivalità fra triumviri e cesaricidi
Dopo la morte di Giulio Cesare, tutti ritenevano che il suo naturale erede sarebbe stato Marco Antonio, il suo braccio destro durante la conquista delle Gallie e fedele compagno di ogni campagna militare. E invece, contrariamente a tutte le aspettative, Giulio Cesare, nel testamento depositato presso le vergini vestali, nominò a sorpresa il nipote Gaio Ottaviano, che aveva raggiunto lo zio durante la campagna in Spagna e nel quale Cesare, evidentemente, aveva intravisto un grande politico.
Ottaviano e Marco Antonio arrivarono ben presto a scontrarsi politicamente per assicurarsi il dominio della politica Romana, Marco Antonio come generale di Cesare e Ottaviano come legittimo successore, ma nel 44 a.C i due furono costretti a concordare una pace temporanea e ad allearsi per sconfiggere un nemico comune. Si trattava di Bruto e Cassio, i cesaricidi, che dopo aver rifiutato dei maldestri tentativi di conciliazione da parte di Antonio, avevano lasciato Roma e si stavano organizzando nelle province orientali con un nuovo esercito. Il loro obiettivo era riprendere il potere e restaurare una forma più antica di Repubblica.
La “tregua di comodo” tra Ottaviano e Marco Antonio è nota come “Secondo Triumvirato“, un accordo a cui si aggiunse l’ex capo di cavalleria di Cesare, Lepido, come garante: l’obiettivo primario era la sconfitta definitiva degli eserciti di Bruto e di Cassio e l’attuazione di una serie di riforme per riportare lo Stato Romano al suo normale funzionamento, dopo decenni di guerre civili.
Lepido disponeva di tre legioni stanziate a Roma, Ottaviano ebbe sotto il suo comando 20 legioni per garantire la sicurezza dei territori nel Mediterraneo Occidentale e Antonio disponeva di altre 20 legioni per la gestione delle province orientali. Nel frattempo Bruto, perorando la causa della restaurazione repubblicana, raccolse il suo esercito in Macedonia, mentre Cassio riunì in poco tempo ben 12 legioni nella provincia di Giudea.
Nel 43 avanti Cristo, Bruto e Cassio si incontrarono a Smirne, odierna Turchia, unendo le loro forze e, dopo aver sconfitto le città di Rodi e Xante, si posizionarono nei pressi della città di Filippi, pronti ad affrontare gli avversari.
Lo schieramento sul campo di battaglia
La battaglia di Filippi impiegò un numero impressionante di soldati romani sul campo: il triumvirato fu in grado di schierare 110.000 uomini, corrispondenti a 19 legioni, mentre i legionari repubblicani consistevano in altri 90.000 uomini, per un totale di 17 legioni. Notevoli anche le forze di cavalleria: 13000 per i triumviri e 17000 per i repubblicani.
I triumviri dovettero dapprima sbarcare sulle coste occidentali dei Balcani e poi addentrarsi nel territorio macedone: per questo motivo Bruto e Cassio ebbero maggiore tempo per organizzare il loro esercito e prepararsi. Tra i due generali repubblicani, Cassio era il comandante più esperto, e soprattutto l’uomo dal carattere più carismatico: era sicuramente lui il reale leader della coalizione.
Cassio, osservando la natura del territorio, decise di posizionare gli accampamenti con grande prudenza: a nord venne costruito quello di Bruto, posizionato saggiamente ai piedi di alcuni monti che gli impedivano di essere accerchiato, mentre quello di Cassio fu eretto più a sud, in linea retta, a circa 3 km dal collega. I due eserciti repubblicani erano costantemente in contatto e completarono le loro difese costruendo una palizzata difensiva che, da Nord a Sud, offriva protezione ad entrambi gli accampamenti. Infine, il campo di Cassio confinava ancora più a sud, con una grande zona paludosa, che impediva l’attraversamento e l’attacco da parte degli avversari.
Non solo: sia Bruto che Cassio, attraverso la città di Filippi, potevano percorrere la via Egnazia e raggiungere la città di Neapolis, in grado di fornirgli continui rifornimenti. Dal punto di vista logistico gli eserciti repubblicani erano in netto vantaggio rispetto agli avversari.
Marco Antonio arrivò sul campo di battaglia e, nove giorni dopo, anche Ottaviano fece la sua comparsa. Come Cassio era il punto di riferimento dei repubblicani, Marco Antonio lo era per i triumviri: Ottaviano era poco più che un ragazzo, certamente promettente, ma con pochissima esperienza militare. Marco Antonio era invece uno dei migliori generali di Cesare, e naturalmente prese le principali decisioni e guidò con fermezza tutta la strategia degli eserciti triumvirali.
L’esercito dei triumviri fu schierato in maniera simile alla loro controparte: in particolare l’accampamento di Ottaviano fronteggiava quello di Bruto a nord, e quello di Antonio fu costruito a sud, davanti a quello di Cassio.
La prima battaglia di Filippi
Iniziò quindi un periodo in cui i due eserciti si studiavano reciprocamente. Marco Antonio si rese conto che il tempo giocava decisamente a favore degli avversari e per questo motivo, imitando le intuizioni di Giulio Cesare, eseguì un’azione inaspettata e audace: diede ordine ai suoi uomini di costruire, durante la notte e con estrema attenzione, un passaggio attraverso le paludi che circondavano il fianco dell’accampamento di Cassio. L’obiettivo era quello di superare il muro degli avversari per sorprendere i nemici alle spalle.
Il piano andò avanti per alcuni giorni: gli uomini di Antonio si erano già addentrati nella palude ed erano giunti quasi oltre il muro dell’avversario. Ma le vedette di Cassio riuscirono ad intercettare il nemico e si resero conto del piano di Antonio. Cassio iniziò allora ad allungare la palizzata protettiva verso la palude, per interrompere il passaggio dei soldati di Marco Antonio.
Resosi conto che il suo piano era stato scoperto, il 3 ottobre Antonio guidò un doppio assalto: uno frontale all’accampamento di Cassio e l’altro sul fianco, dalla palude. Il grosso dell’esercito di Cassio era impegnato sulla pianura, e così, le poche unità rimaste a presidio dell’accampamento, vennero distrutte. Antonio riuscì a devastare il quartier generale di Cassio, ottenendo un vantaggio importante.
Sul lato nord del campo di battaglia avvenne sostanzialmente la stessa cosa, ma a parti inverse. Bruto aveva organizzato una grande carica a sorpresa contro le legioni di Ottaviano. Durante la caotica battaglia che ne seguì, i soldati di Ottaviano vennero travolti e Bruto riuscì a raggiungere l’accampamento di Ottaviano. I centurioni repubblicani iniziarono a dare la caccia al giovane erede di Cesare il quale si salvò solo perché riuscì a scappare, all’ultimo minuto, in altre paludi circostanti.
Al termine di questa prima fase dello scontro, nota come “Prima battaglia di Filippi“, Antonio aveva devastato l’accampamento di Cassio e Bruto quello di Ottaviano. La situazione era sostanzialmente di parità: quello che cambiò radicalmente l’andamento della battaglia fu una specie di incomprensione tra Bruto e Cassio.
Cassio, che era appena sfuggito alle forze di Marco Antonio, si era rifugiato sull’acropoli di Filippi con un piccolo contingente di soldati, e da lì osservò la situazione sul campo di battaglia. Gli parve di scorgere alcuni uomini che animosamente procedevano verso di lui: in realtà si trattava dei soldati di Bruto che erano felici per la vittoria del loro generale e per la distruzione dell’ accampamento di Ottaviano, ma Cassio interpretò questo contingente di uomini che si avvicinavano verso di lui come i soldati di Marco Antonio, che erano riusciti ad uccidere Bruto e ora cercavano di raggiungerlo.
Credendo di essere ormai nelle mani del nemico, Cassio diede ordine ad uno schiavo, Pindaro, di ucciderlo. Secondo altre fonti, Pindaro avrebbe invece compiuto un omicidio nei confronti di Cassio, per poter fuggire ed ottenere la libertà. Comunque sia andata, durante questa fase della battaglia perse la vita il generale più carismatico e importante della fazione repubblicana e Bruto rimase da solo a gestire una situazione estremamente difficile.
La seconda battaglia di Filippi
La seconda battaglia di Filippi rappresenta la resa dei conti. Dopo la prima battaglia ognuno tornò rispettivamente ai suoi accampamenti e ragionò sul da farsi: Bruto cercava di portare avanti la strategia originale di Cassio, ovvero quella di mantenere l’esercito in posizione e sfruttare il proprio vantaggio logistico e di rifornimenti per costringere gli avversari ad abbandonare il campo per fame.
Antonio e Ottaviano soffrirono pesantemente l’approccio attendista di Bruto, cominciarono ad avere razioni sempre più esigue e la fame iniziò a serpeggiare tra l’esercito. I soldati di Antonio e Ottaviano raggiungevano continuamente gli accampamenti di Bruto con l’intento di provocarli per ottenere quella battaglia risolutiva di cui avevano bisogno, ma Bruto fu in grado di resistere agli scherni del nemico.
Quello che lo tradì fu lo scarso carisma nei confronti dei suoi soldati: i legionari e i centurioni repubblicani continuavano a domandare insistentemente a Bruto di poter battere il nemico sul campo. Antonio, che subodorava il nervosismo dell’avversario, continuava a compiere dei piccoli movimenti per “soffocare” i repubblicani. Ad esempio, sfruttando una piccola collinetta lasciata incustodita, era riuscito a costruire una palizzata di vimini e a posizionarci quattro legioni, che ora erano straordinariamente vicine all’accampamento di Bruto.
Inoltre schierò altri soldati nell’area paludosa vicino all’ex accampamento di Cassio.
Tutti questi movimenti convinsero i legionari di Bruto a prendere in mano la situazione: l’ultimo generale repubblicano dovette cedere alle pressioni dei suoi soldati e accettare una nuova battaglia campale.
La disposizione della seconda battaglia di Filippi partiva dall’accampamento di Bruto e si estendeva mano mano verso est, fino a toccare quasi la via Ignazia. Antonio si posizionò sulla sinistra, di fronte all’accampamento di Bruto, e fece schierare i legionari di Ottaviano nel bel mezzo della palude per controbilanciare la linea di attacco degli avversari.
La battaglia cominciò furiosa: inizialmente le legioni dei repubblicani si comportarono molto bene contro l’avversario e riuscirono a resistere agli attacchi dei nemici. Tuttavia Bruto aveva un numero di soldati inferiore e, poco a poco, fu costretto ad allungare sempre più le sue linee per non essere accerchiato.
Le file repubblicane si sfoltirono sempre di più nel corso del tempo, fino a quando Antonio, con una carica diretta contro il centro dello schieramento repubblicano, riuscì a bucare la linea di fanteria e ad attaccare l’accampamento di Bruto dal retro. L’esercito repubblicano era ormai completamente disarticolato. Anche Ottaviano attaccò l’accampamento di Bruto, mettendolo a ferro e fuoco, mentre la cavalleria di Antonio inseguì il generale nemico per bloccarlo in tempo.
Bruto trovò rifugio sulle montagne vicine e si preparò ad una disperata difesa. Ma nel momento in cui le quattro legioni rimaste si mossero per chiedere clemenza ad Antonio, capì di aver perso completamente la partita.
Con un finale degno di un film, Bruto ringraziò tutti coloro che lo avevano aiutato a sostenere la causa repubblicana. Disse che preferiva morire per mano di quelli che riteneva amici, piuttosto che per dei tiranni come Ottaviano e Antonio e si tolse la vita. Molti legionari repubblicani ottennero la grazia, e furono incorporati nei manipoli dei triumviri, i quali avevano ottenuto una vittoria completa.
Come Filippi ha cambiato la storia
La battaglia di Filippi rappresentò l’ultimo grande scontro dei repubblicani, che uscirono completamente sconfitti e non ebbero più generali in grado di riorganizzare forze da opporre ai triumviri. Gli avvenimenti successivi si snodano tutti nell’ambito della guerra civile: Ottaviano venne incaricato di redistribuire le terre ai veterani in Italia, trovandosi di fronte una straordinaria sfida politica che fu in grado di gestire al meglio, dimostrando un acume notevole, mentre Marco Antonio coltivò i suoi sogni di gloria e di conquista in Egitto, alla corte della regina Cleopatra.
Le sconfitte di Marco Antonio contro i Parti, le sue concessioni a Cleopatra, degne di un principe orientale che trattava le province romane come una proprietà privata, assieme all’abile propaganda di Ottaviano, portarono ad un nuovo scontro decisivo fra i due. Fu la battaglia di Azio del 31 d.C, che portò alla sconfitta di Marco Antonio e che segna tradizionalmente la fine della repubblica e l’inizio del principato di Augusto.