La battaglia di Farsàlo avvenne durante la guerra civile cesariana, precisamente nel 48 a.C., nei pressi di Farsàlo, in Tessaglia. Lo scontro avvenne successivamente alla fuga di Pompeo in Epiro, dovuta alla discesa di Gaio Giulio Cesare in Italia e l’inseguimento dei pompeiani.
Dopo la battaglia di Durazzo, che arrise ai repubblicani, Cesare riorganizzò le proprie legioni in Tessaglia, dopo aver espugnato con la forza la città di Gomphi e aver occupato tutte le città tessale con l’eccezione di Larissa, arrestò la propria marcia nella piana di Farsàlo, nel tentativo di costringere Pompeo a combattere una battaglia campale.
Alcuni studiosi, però, non sono d’accordo nel collocare il luogo dello scontro a Farsàlo, in quanto nel De Bello Civili Cesare non fa mai riferimento alla cittadina e, inoltre, si riferisce all’Enipeo non col termine di “Flumen”, ma con “rivus”, mai accaduto precedentemente quando si riferiva al suddetto fiume.
Al netto di queste diatribe storiche, tuttavia, la sproporzione di forze alla vigilia del combattimento era evidente: Pompeo disponeva di circa 12 legioni, ripartite tra 7000 cavalieri e 45.000 fanti, secondo quanto riporta Cesare nelle sue memorie, mentre Cesare stesso aveva a propria disposizione 1.000 cavalieri e circa 22.000 fanti.
La strategia di Pompeo contro Cesare
Nonostante queste cifre, Pompeo decise che la strategia migliore fosse quella di continuare con azioni di logoramento dell’esercito cesariano, in quanto quest’ultimo era composto da un maggior numero di veterani, e solo tre legioni erano state appena arruolate in Italia, al contrario dei legionari e soldati pompeiani, principalmente tutte reclute; difatti, la Prima Legione, la prediletta di Pompeo, era da considerarsi inesperta se messa al confronto con le provate truppe cesariane.
Cesare, seppur uscito sconfitto da Durazzo, era a conoscenza di questa situazione, e più volte tentò di provocare la reazione di Pompeo, per saggiarne le forze. Pompeo indugiava e temporeggiava, in quanto non si fidava sulle prestazioni della propria fanteria, che giudicava, oltre che inesperta, fortemente inaffidabile.
Inoltre, vi è da considerare che la Quindicesima legione, appartenente allo schieramento pompeiano, era stata fino a pochi anni prima, con la riassegnazione da parte del Senato (ossia fino al 50 a.C.) una delle legioni cesariane, avendo combattuto al suo servizio durante la campagna bellica della Gallia.
Questo status preoccupava, molto probabilmente, Pompeo in quanto non sapeva se effettivamente la Quindicesima sarebbe rimasta al suo fianco durante la battaglia e non avrebbe disertato in favore del suo ex condottiero. Pompeo fu vittima anche di cattivi consiglieri: i suoi uomini e i suoi alleati lo esortavano a dare battaglia contro Cesare, convinti della vittoria grazie alla superiorità numerica e alla cavalleria.
A questo proposito, nel De Bello Civili, Cesare riporta che Pompeo affermasse più volte che, con l’uso dei reparti di cavalleria (comandati da Labieno), Cesare e le sue truppe sarebbero stati sbaragliati.
Oltre a ciò, si somma la sostanziale divisione del fronte repubblicano, molto più preoccupato a scambiarsi prebende, regalie e a contendersi le cariche per il contesto politico che sarebbe sorto in seguito alla vittoria dell’Ottimate nella tenzone fra i due generali.
Cesare non mancherà, nelle sue memorie, di rimarcare questo aspetto con una tagliente ironia, sia per glorificarsi, sia per denunciare la discordia serpeggiante che si era insinuata nel campo avversario. Le cronache riportano anche di un singolare episodio avvenuto la notte prima dello scontro: Pompeo sognò di pregare la statua di Venere in seguito alla battaglia.
Questa visione onirica venne interpretata come un cattivo presagio dall’ex genero di Cesare, in quanto la gens Julia vantava, secondo la leggenda, una discendenza diretta dalla Dea. I suoi alleati, gli altri senatori che avevano appoggiato la parte di Pompeo, però, erano convinti che fosse di buon augurio, in quanto avrebbe significato un certo trionfo (Venere Vittoriosa). La storia avrebbe dato ragione ai brutti presentimenti di Pompeo.
La disposizione sul campo di battaglia
Dopo numerose giornate ricolme di scaramucce e schieramenti, le legioni pompeiane abbandonarono il proprio campo e si disposero in formazione da battaglia, perdendo anche il vantaggio tattico costituito dall’altura. Cesare colse l’invito e schierò il proprio esercito di fronte al nemico.
Pompeo aveva disposto il suo esercito sulla sinistra con la cavalleria comandata da Labieno, la Quindicesima, la Prima e le legioni di Domizio Enobarbo, al centro le unità comandate dal suocero di Pompeo, Scipione, mentre sull’ala destra pompeiana egli aveva schierato alcuni reparti di ausiliari e di frombolieri, in quanto si affacciavano sull’Enipeo e, data la conformazione del ruscello, non abbisognava di particolari accorgimenti per resistere su quel fianco.
La sua tattica era estremamente semplice ed efficace: sconfiggere la cavalleria cesariana, in modo da privare l’esercito avversario della mobilità e della rapidità della cavalleria, e poi accerchiarlo, in modo da mandare in rotta la gran parte dei reparti nemici.
Cesare, invece, dispose le sue truppe in diverso modo: alla destra pose la Decima legione e i reparti di cavalleria, coadiuvati da diverse coorti (alcune stime riferiscono di circa 9 cohortes) che, secondo Appiano, furono preventivamente fatte sdraiare in terra, al fine di contrastare la cavalleria pompeiana, con a capo Publio Silla; al centro furono collocate, sotto il comando di Domizio Calvino le legioni di reclute, di “novellini”, reclutate in Italia da Cesare e considerate meno esperte rispetto alle altre.
Infine, sul fianco sinistro, furono dislocate le truppe cosiddette ispaniche, guidate da Marco Antonio. Il piano di battaglia di Cesare era prevalentemente orientato alla sconfitta della cavalleria avversaria, avendo intuito che essa poteva essere la variabile che avrebbe fatto propendere, col suo esito favorevole, la vittoria a Pompeo.
La battaglia di Farsalo: lo scontro
La battaglia cominciò con l’assalto di Labieno, che attaccò il fianco destro cesariano. La cavalleria cesariana, in forte inferiorità numerica, si ritirò. Labieno, avendo compreso che potesse essere l’occasione favorevole, divise la cavalleria e con i suoi reparti si diresse verso il retro dello schieramento cesariano, con l’intenzione di colpire da dietro.
Le coorti di riserva cesariane, si alzarono appena la cavalleria fu abbastanza vicina da poterla colpire efficacemente (dopo il segnale di Cesare) e usarono i propri pilum a mo’ di lancia, per colpire i cavalieri nemici, avendo come conseguenza la caduta di circa un centinaio di cavalieri, la quale indusse Labieno a ripiegare.
Nel frattempo, il fianco destro cesariano avanzò contro le truppe di Pompeo. Ora, i pompeiani avevano adottato una tattica prevalentemente difensiva, in quanto attendevano l’urto dei cesariani contro i propri scudi, poiché questo avrebbe portato a sfiancarli preventivamente.
La tattica sarebbe stata adatta in una battaglia in cui delle legioni esperte si trovavano ad affrontare dei reparti di reclute, in quanto queste ultime non avrebbero fornito la necessaria attenzione a riposarsi prima della carica finale, per non arrivare già stanchi di fronte al nemico; ma la Decima era composta da veterani, e infatti, sebbene caricò, le cronache riportano che si fermò per circa un minuto prima di lanciare l’ultima carica contro il nemico.
All’urto, le legioni pompeiane resistettero solo inizialmente, ma dopo furono costrette alla ritirata. Si inserisce qui la vicenda di Cràstino, narrata anche all’interno del De Bello Civili: il centurione primipilo della Decima legione, dopo aver esortato i propri uomini al combattimento, si lanciò all’assalto, combattendo ferocemente prima di essere ucciso da un soldato dello schieramento avversario.
Le altre ali riuscirono a collidere con i reparti avversari, realizzando il timore di Pompeo, che sapeva di non poter sostenere una battaglia contro i veterani cesariani.
La cavalleria cesariana, inoltre, liberatasi di Labieno, assieme ai reparti di fanteria, attaccò le truppe di arcieri e di frombolieri pompeiani, sconfiggendoli. Fu a questo punto che Pompeo abbandonò la Prima legione per ritirarsi al proprio campo e rifugiarsi nella propria tenda per attendere l’esito della battaglia.
Intanto, il suo schieramento aveva perso la coesione, e andò in rotta; alcuni reparti si ritirarono ordinatamente, altri, come il centro, si diedero alla fuga diventando facile preda degli inseguitori. Cesare attaccò il campo pompeiano e lo occupò, richiamando anche i reparti che si erano dati all’inseguimento. Poi, dopo aver organizzato nuovamente l’esercito, si diresse verso Larissa per impedire la ricostituzione dell’esercito pompeiano (che continuava a vantare ancora circa 22.000 uomini).
Vittoria per Cesare, disfatta e morte per Pompeo
La battaglia terminò con un completo trionfo dell’esercito cesariano, e fu il vero punto di svolta nella guerra civile: Pompeo, in seguito alla sconfitta, fu costretto a riparare in Egitto, dove venne ucciso dal faraone Tolomeo Teo Filopàtore per essere consegnato a Cesare.
Cesare non accettò l’uccisione del rivale, dato il suo status di Romano, e si dice che si mise a piangere di fronte alla testa decapitata di Pompeo; questo episodio fu il preludio per i successivi screzi politici tra l’Egitto e Roma. Cesare, con questa battaglia, riuscì a distruggere l’esercito repubblicano e di consolidare il proprio potere, oltre a scompaginare il fronte avversario.