La battaglia di Benevento è una battaglia verificatasi nel 275 a.C. tra le legioni romane guidate dal Generale Manio Curio Dentato e il condottiero Pirro, nell’ambito delle guerre pirriche, che videro Roma contro le città della Magna Grecia nel sud Italia.
La battaglia di Benevento rappresenta la conclusione delle campagne italiche di Pirro ed è un vero e proprio scontro tra due civiltà, due modi di intendere l’esercito e la guerra.
La situazione nel Mediterraneo prima delle guerre pirriche
All’inizio del terzo secolo avanti Cristo, Roma aveva ottenuto una serie di importanti trionfi in una serie di battaglie contro la popolazione dei Sanniti, stanziati nell’odierna Campania e zone limitrofe. L’influenza di Roma si stava espandendo a vista d’occhio verso tutta la penisola italica.
La pressione conquistatrice dell’Urbe arrivò a toccare anche il sud Italia e in particolare le città della Magna Grecia. Si trattava di città-stato estremamente potenti e sviluppate, che detenevano in quel periodo i diritti commerciali per rotte strategiche del Mediterraneo.
Le città principali di questa realtà erano Siracusa in Sicilia, Reggio in Calabria e Taranto in Puglia. Quest’ultima considerata a tutti gli effetti la capitale della Magna Grecia in Italia.
La Sicilia, nel frattempo, era contesa tra greci e cartaginesi che si affrontavano da decenni in una lunga serie di battaglie e di guerriglie per il predominio di un’isola strategicamente importante per il controllo del Mediterraneo.
In teoria, tra romani e città della Magna Grecia esistevano dei patti di non belligeranza e di pacifica convivenza. Ma questi trattati non erano destinati a durare, in quanto ben presto si verificarono alcuni episodi significativi che incrinarono i fragili accordi stabiliti dalla diplomazia.
Il casus belli: la città di Turi e la flotta di Taranto
Il casus belli nacque dal comportamento della città di Turi. Per via di alcune ribellioni, i cittadini di Turi avevano chiesto aiuto militare ai romani e questi decisero di intervenire, sapendo perfettamente che la loro azione costituiva una importante interferenza negli affari della città greche.
Stabilito a Turi un contingente militare romano, Taranto non tardò ad accorgersi della importante mossa della Repubblica Romana, considerando l’azione come una ingerenza estranea negli affari della Magna Grecia.
La situazione degenera rapidamente. I romani, in parte per diplomazia e in parte per tastare il terreno, decisero di inviare una flotta nel porto di Taranto con alcuni ambasciatori.
Secondo la tradizione, i tarantini stavano in quei giorni festeggiando, e appena scorte le navi all’orizzonte, equivocarono le intenzioni del contingente romano, che venne preso come un vero e proprio attacco alla loro città.
I tarantini affondarono una parte delle navi romane e colsero l’occasione per assaltare la città di Turi, dove la guarnigione romana venne scacciata. I tarantini occuparono la città con la forza.
Gli ambasciatori romani e l’oltraggio di Filonide
In questa fase, la politica romana si divise fra coloro che volevano partire immediatamente con la guerra e altri che credevano nel valore della diplomazia.
Ma in linea generale, le leggi romane imponevano l’avvio di trattative. Per questo, il Senato inviò degli ambasciatori nella città di Taranto per cercare di ricomporre la situazione in maniera non bellicosa.
La delegazione romana era guidata dall’ambasciatore Postumio: il piccolo gruppo di ospiti, entrò all’interno della grande città di Taranto, nel teatro principale, dove Postumio iniziò a tenere un lungo ed articolato discorso per intavolare delle trattative con i tarantini.
Ben presto Postumio si rese conto che la folla non solo non lo ascoltava, ma lo prendeva in giro, criticando il suo accento greco claudicante e ridicolizzandolo per il modo con cui era vestito. Nonostante tutti gli sforzi, i tarantini iniziarono ad urlare contro gli ambasciatori, con crescente astio.
Capendo l’impossibilità di proseguire con le trattative, Postumio e i suoi si apprestarono ad allontanarsi dal teatro ed è qui che accadde un episodio di gravità inaudita, che passò alla storia.
Nel pubblico c’era uno spettatore mezzo ubriaco di nome Filonide: questi pensò bene di sollevare i vestiti e orinare direttamente sulla toga dell’ambasciatore, proprio mentre si stava allontanando.
Postumio, esterrefatto, chiese che gli venisse data immediata giustizia e che il gesto fosse condannato dalla politica Tarantina, ma la folla acclamò il gesto sconsiderato approvandolo ed applaudendolo.
Altrettanto famosa l’ultima frase di Postumio ai Tarantini, prima di andarsene furioso: “Laverete con il sangue questa toga“. Era l’inizio delle guerre pirriche
L’arrivo di Pirro in Italia
La città di Taranto, come tutte le città della Magna Grecia nell’Italia del Sud, era fiorente e potente ma sapeva perfettamente che non poteva competere a livello militare con i romani.
Per questo motivo, Taranto chiese aiuto ad un condottiero straniero, Pirro. Si trattava di un grande sovrano dell’Epiro, l’attuale regione dell’Albania, legato per un lontano nesso di parentela direttamente con Alessandro Magno, e grandemente fiero della sua tradizione familiare.
Pirro, grazie all’invito dei Tarantini, concepì un grande progetto di conquista con l’obiettivo di creare un regno autonomo, che nelle sue intenzioni doveva corrispondere l’attuale Albania, al Sud Italia e alla Sicilia.
Lo sbarco di Pirro in Italia fu un atto bellicoso di importanza estrema. Il condottiero portò con sé un nutrito esercito composto da diverse unità armate.
Fanti macedoni che combattevano alla greca, cavalieri, arcieri e frombolieri, specializzati nel lancio di pietre e sassi, ma soprattutto terribili elefanti da guerra indiani, degli enormi pachidermi che rappresentavano il vero e proprio asso nella manica dell’esercito di Pirro.
Da Eraclea ad Ascoli Satriano
La prima battaglia che vide Pirro combattere contro i romani avvenne ad Eraclea, odierna Basilicata, nel 280 a.C .
I Romani affrontarono con vigore l’avversario ma l’entrata in gioco degli elefanti indiani terrorizzò a tal punto l’esercito romano che i legionari non furono in grado di opporre una efficace resistenza. Il tutto si tradusse nella prima grande disfatta della compagine romana contro il nuovo avversario.
Da subito però, Pirro si rese conto che le forze armate romane avevano una elevata capacità di rigenerarsi , grazie ad una struttura sociale che gli permetteva di reclutare molto velocemente un nutrito gruppo di legionari.
Il secondo appuntamento contro Pirro è certamente la battaglia di Ascoli Satriano, i cui dettagli sono entrati molto spesso nell’immaginario collettivo di tutti noi.
Lo scontro fu crudele e violento, e alla fine Pirro riuscì a infliggere una seconda sconfitta ai Romani, che persero 7000 uomini in un solo giorno. Ma a prezzo di ingentissime perdite.
Pirro pronunciò una frase che è passata alla storia: “Un’altra vittoria di questo genere e siamo perduti” a significare che si era reso conto delle condizioni con cui aveva ottenuto il risultato, ovvero la quasi totale distruzione del suo esercito.
E’ da questo avvenimento che è nata la frase “Vittoria di Pirro“, ad indicare una vittoria formale avvenuta ad un costo tale da assomigliare ad una sconfitta.
Ma non solo: secondo le cronache, Pirro si sarebbe aggirato sul campo dopo la battaglia e sarebbe rimasto profondamente impressionato dai cadaveri dei nemici, i cui volti esprimevano ancora una feroce determinazione.
“Se avessi dei soldati del genere conquisterei il mondo“, si lasciò sfuggire Pirro, malcelando ammirazione per l’esercito avversario.
La disatrosa campagna in Sicilia e la vendetta romana
A questo punto della campagna, Pirro si trovava di fronte ad una scelta.
Da un lato avrebbe potuto accettare l’invito ufficiale a diventare il Re di Macedonia, tornare quindi in patria e consolidare la sua presenza sul trono. Oppure, si sarebbe potuto muovere verso la Sicilia per conquistare l’isola e completare il suo progetto di conquista nel sud Italia.
Fra le due opzioni, Pirro scelse di proseguire per l’isola siciliana e completare la sua opera di costruzione di un nuovo grande regno personale.
Ma la presenza di Pirro in Sicilia fu tutt’altro che semplice. Il generale rimase imbottigliato in una guerriglia continua e in una serie di dinamiche estremamente complesse che logorarono lui e il suo esercito.
Dopo alcuni anni di combattimento e dopo una campagna abbastanza infruttuosa, Pirro si rese conto che la scelta di proseguire per la Sicilia era stata disastrosa. Non gli rimaneva che ritornare in patria.
Ma i Romani lo aspettavano al varco per vendicare le prime due sconfitte, stavolta con delle tattiche aggiornate per fronteggiare i suoi terribili elefanti.
La battaglia di Benevento: le mosse iniziali
L’esercito di Pirro, arrivato nei pressi della cittadina di “Malevento“, questo era il nome della località prima della battaglia, dovette dividere il suo contingente in due parti.
Il primo gruppo mosse contro il generale Lentulo, che si aggirava nel Sannio, e il secondo contro Manio Curio Dentato, il principale generale dello scontro.
Dentato si trovava con circa 17000 uomini su un’altura, al riparo, mentre Pirro con i suoi 20000 soldati si era posizionato in pianura. Per raggiungere questa zona Pirro aveva tuttavia superato una serie di ostacoli e delle vie piuttosto strette.
Le fonti le citano come strade che solitamente gli uomini non percorrevano mai, “appannaggio esclusivo delle capre”, per far capire la difficoltà con cui Pirro era riuscito ad arrivare sul campo di battaglia.
Il suo esercito era quindi già pesantemente fiaccato dalla sola operazione di disposizione sul campo, il che costituì un importante svantaggio iniziale per il condottiero orientale.
Un piccolo contingente dell’esercito di Pirro venne mandato in avanscoperta, ma questo fu subito intercettato dagli uomini di Dentato che iniziarono un piccolo ma sanguinoso combattimento.
Lo scontro, breve ma intenso, vide gli uomini di Dentato avere la meglio: i soldati romani riuscirono addirittura a catturare un paio di elefanti.
Questa piccola scaramuccia iniziale diede ai soldati romani un nuovo coraggio: Dentato si decise a scendere dalla sua posizione sopraelevata, si fece più audace e marciò direttamente contro il suo avversario. Sceso dall’altura, gli eserciti di Dentato e di Pirro si fronteggiarono.
La battaglia
Pirro combatteva con la classica formazione della falange macedone, una disposizione estremamente dura da combattere perchè costituita da un grande e fitto numero di lance che appariva terrorizzante e insuperabile.
I soldati romani però utilizzarono un numeroso lancio di giavellotti a brevissima distanza. Questa carica di artiglieria poco prima dell’impatto creò dei buchi all’interno della linea di attacco di Pirro, spazi fondamentali che i legionari occuparono velocemente.
In questo modo, i soldati romani riuscirono ad arrivare al combattimento corpo a corpo con gli uomini di Pirro, dove questi ultimi erano pesantemente svantaggiati.
I legionari di Dentato erano già riusciti a sfondare le prime due linee dei nemici, quando la situazione ebbe un capovolgimento.
Pirro giocò infatti la carta degli elefanti, il suo principale strumento offensivo, che vennero lanciati all’attacco. I soldati romani furono costretti a scappare e ad allontanarsi dalla carica, ritornando sui loro passi, verso la collinetta e arroccandosi addirittura all’interno del loro accampamento.
Stavolta però, i romani avevano avuto il tempo di studiare il comportamento degli elefanti e avevano capito che il modo migliore per batterli era sommergerli di frecce e di giavellotti puntati direttamente agli occhi. Direttamente dalle mura dall’accampamento partì quindi un grande carica di artiglieria.
Gli elefanti vennero bersagliati dai dardi e le cronache ci parlano di un episodio molto particolare.
Un cucciolo di elefante venne colpito in fronte e iniziò a barrire e a cercare la madre emettendo dei gemiti tremendi. Tutti gli altri pachidermi furono terrorizzati dal disperato urlo del cucciolo e in poco tempo iniziarono a perdere il controllo e a scappare.
L’esercito di Pirro venne travolto dai suoi stessi elefanti, che si dimostrarono un elemento controproducente. Senza un particolare intervento dei romani, nonostante la battaglia continuò per tutto il giorno, la formazione di Pirro venne completamente disarticolata.
La vittoria di Dentato non fu schiacciante, ma certamente dimostrò di aver superato il grande limite che i romani avevano avuto fino a quel momento nei confronti degli elefanti.
Con le forze residue, Pirro valutò come urgente il ritorno in patria. L’Italia e la repubblica romana era quindi riuscita ad allontanare definitivamente questo straordinario condottiero, vincendo la guerra.
La fondazione di Benevento e l’espansione di Roma
Dopo 6 anni dallo scontro, i romani fondarono una colonia nei pressi del campo di battaglia e ribattezzarono la città da “Malevento” in “Benevento“, proprio in memoria della buona sorte che li aveva accompagnati nel corso dello scontro con Pirro.
La storia proseguirà con l’inarrestabile ascesa della potenza e dell’influenza Romana.
Le città della Magna Grecia, ormai senza una possente esercito a loro difesa, capitoleranno l’una dopo l’altra: i romani riusciranno a prendere il controllo di queste strategiche città sul Mediterraneo e ad assimilare la Magna Grecia all’interno della loro orbita.
Diventati sempre più potenti, i romani si affacceranno in maniera sempre più determinata sul Mediterraneo dove li avrebbe aspettati un’altra grandissima potenza antagonista: Cartagine.