Vindolanda è un antico forte romano situato nel Northumberland, nel nord dell’Inghilterra, tra Carlisle e Corbridge. È qui che recenti studi scientifici hanno permesso di ricostruire aspetti finora poco noti della salute dei soldati dell’esercito imperiale romano.
Il forte sorgeva in una posizione strategica, a ridosso del Vallo di Adriano, la monumentale linea difensiva costruita dai Romani all’inizio del II secolo d.C. per proteggere la provincia della Britannia dalle incursioni delle popolazioni del nord. Questa imponente fortificazione, che attraversava l’isola dal Mare del Nord al Mare d’Irlanda, rimase attiva fino alla fine del IV secolo ed era presidiata da reparti di fanteria, arcieri e cavalleria provenienti da molte regioni dell’Impero romano.
In questo contesto di frontiera, duro e spesso isolato, un team di studiosi delle Università di Cambridge e Università di Oxford ha concentrato le proprie ricerche su un aspetto molto concreto della vita quotidiana dei soldati: l’igiene. Analizzando i sedimenti recuperati dai canali di scolo delle fogne collegate alle terme e alle latrine del III secolo d.C., i ricercatori sono riusciti a ottenere informazioni preziose sulle condizioni sanitarie delle truppe di stanza a Vindolanda, offrendo uno spaccato sorprendentemente dettagliato della vita lungo i confini dell’Impero.
Le analisi hanno mostrato che gli abitanti del forte di Vindolanda convivevano con almeno tre tipi di parassiti intestinali: l’ascaride, il tricocefalo e Giardia duodenalis. Si tratta di organismi che si trasmettono facilmente in condizioni di igiene precaria, attraverso cibi e bevande contaminati o semplicemente tramite le mani sporche di residui fecali.
Gli ascaridi erano i più impressionanti per dimensioni: potevano infatti raggiungere una lunghezza compresa tra i venti e i trenta centimetri. I tricocefali, più piccoli ma non meno insidiosi, misuravano circa cinque centimetri. Giardia duodenalis, invece, è un parassita microscopico appartenente ai protozoi, noto per provocare violente epidemie di diarrea. La sua identificazione nei campioni analizzati è particolarmente significativa, perché rappresenta la prima prova della presenza di questo agente patogeno nella Britannia di epoca romana.
Il dato forse più sorprendente è che tutto ciò avveniva nonostante il forte fosse dotato di latrine comuni e di un sistema fognario relativamente avanzato per l’epoca. Queste infrastrutture, però, non furono sufficienti a impedire il contagio: la condivisione degli spazi, l’acqua non sempre pulita e pratiche igieniche ancora rudimentali favorirono la diffusione dei parassiti tra i soldati, rivelando il lato più vulnerabile della vita quotidiana lungo i confini dell’Impero romano.
Per arrivare a questi risultati, il team di ricerca ha seguito un metodo rigoroso e capillare. Gli studiosi hanno prelevato cinquanta campioni di sedimento lungo tutto il condotto fognario della latrina di Vindolanda, un canale lungo circa nove metri che convogliava i rifiuti verso un ruscello situato a nord del sito.
Durante lo scavo del condotto non sono emersi solo resti organici, ma anche numerosi reperti archeologici: perline romane, frammenti di ceramica e ossa di animali, testimonianze concrete della vita quotidiana all’interno del forte. I campioni di sedimento sono stati poi trasferiti nei laboratori delle università di Cambridge e di Oxford, dove sono stati analizzati al microscopio alla ricerca delle uova degli elminti, cioè i vermi parassiti.
I risultati sono stati eloquenti: circa il 28% dei campioni conteneva uova di ascaridi o di tricocefali, un dato che conferma una diffusione tutt’altro che marginale di queste infezioni tra i soldati. In un caso specifico, per andare oltre l’osservazione microscopica, i ricercatori hanno impiegato una tecnica più sofisticata, il saggio immunoenzimatico. Questo metodo, basato sull’interazione tra anticorpi e proteine prodotte da organismi unicellulari, ha permesso di identificare con certezza la presenza della Giardia, rafforzando ulteriormente le conclusioni sullo stato di salute delle truppe di stanza lungo il confine romano.
Le ripercussioni sulla salute dei soldati erano tutt’altro che trascurabili. La presenza di parassiti intestinali poteva infatti provocare malnutrizione e diarrea cronica, condizioni che, nel tempo, minavano seriamente la resistenza fisica degli uomini di guarnigione.
La dottoressa Marissa Ledger, responsabile della ricerca per l’Università di Cambridge, ha spiegato che i medici romani erano consapevoli dell’esistenza dei vermi intestinali, ma disponevano di pochissimi rimedi realmente efficaci. Le terapie disponibili raramente riuscivano a eliminare l’infezione, con il risultato che i sintomi tendevano a persistere e spesso a peggiorare nel corso del tempo.
Queste malattie croniche indebolivano progressivamente i soldati, riducendone la forza e l’idoneità al servizio attivo. A questo quadro già critico si aggiungevano le infezioni da Giardia, particolarmente pericolose nei mesi estivi. Come ha sottolineato l’autore principale dello studio, il dottor Piers Mitchell, durante le ondate stagionali legate all’uso di acqua contaminata i militari potevano soffrire di diarree acute, gravi disidratazioni, affaticamento intenso e perdita di peso, condizioni che rendevano ancora più difficile la vita quotidiana lungo il confine settentrionale dell’Impero romano.
La situazione sanitaria del forte risultava ancora più problematica se si considera che l’alta diffusione di questi parassiti indicava un ambiente ideale anche per altri agenti patogeni intestinali, come Salmonella e Shigella, batteri in grado di provocare gravi infezioni e vere e proprie epidemie all’interno della guarnigione.
Un elemento particolarmente interessante emerge dal confronto con altri siti militari romani. In luoghi come Carnuntum, nell’attuale Austria, o Bearsden in Scozia, si osserva infatti la stessa predominanza di parassiti trasmessi per via oro-fecale. Questo suggerisce che le condizioni igieniche tipiche dei forti di frontiera favorissero ovunque la diffusione di questo tipo di infezioni.
Il quadro cambia invece nei grandi centri urbani della Britannia romana, come Londra e York. Qui gli studiosi hanno riscontrato una varietà molto più ampia di parassiti, compresi quelli legati alle abitudini alimentari, come le tenie, spesso trasmesse attraverso il consumo di carne o pesce poco cotti. Questa differenza mette in luce come lo stile di vita, l’alimentazione e il contesto ambientale influenzassero profondamente la salute delle popolazioni romane, creando scenari sanitari molto diversi tra città e avamposti militari.
Vindolanda era già noto nel mondo dell’archeologia per una caratteristica davvero eccezionale: la straordinaria conservazione dei materiali organici, resa possibile da un terreno costantemente impregnato d’acqua. È proprio grazie a queste condizioni che sono giunte fino a noi oltre mille tavolette di legno scritte a inchiostro, preziose testimonianze della vita quotidiana dei soldati, insieme a una collezione impressionante di più di cinquemila scarpe di cuoio, che restituiscono un’immagine sorprendentemente concreta degli abitanti del forte.
Le ricerche, però, non si sono fermate agli strati più noti del sito. Gli studiosi hanno infatti esteso le analisi anche a un periodo precedente, esaminando un campione di sedimento proveniente da un fossato difensivo appartenente a un forte più antico, risalente al I secolo d.C. Questa struttura, costruita intorno all’anno 85 e abbandonata dopo pochi anni, rappresenta una delle prime fasi di occupazione romana dell’area.
Anche in questo deposito più antico sono state individuate uova di ascaridi e tricocefali. Il dato è particolarmente significativo perché dimostra come i problemi legati alla salute e all’igiene non fossero un fenomeno isolato o limitato a una singola fase del sito, ma una costante nella vita della guarnigione di Vindolanda. Una continuità che attraversa decenni di presenza militare romana e che racconta, ancora una volta, il lato più fragile dell’esistenza quotidiana lungo i confini dell’Impero.
Lo studio dei parassiti antichi rappresenta oggi uno strumento prezioso per ricostruire le malattie che colpivano le popolazioni del passato e per capire come la loro diffusione fosse strettamente legata allo stile di vita, all’ambiente e alle condizioni igieniche. Attraverso queste analisi, la scienza riesce a dare voce a problemi di salute che raramente compaiono nelle fonti scritte, ma che influenzavano profondamente l’esistenza quotidiana.
Secondo Andrew Birley, responsabile degli scavi per il Vindolanda Trust, ogni nuova scoperta contribuisce a rendere più concreta la comprensione delle difficoltà affrontate da uomini e donne che vivevano lungo la frontiera nord-occidentale dell’Impero romano quasi duemila anni fa. La ricerca scientifica, in questo senso, non si limita a ricostruire eventi o strutture, ma illumina le esperienze umane di chi abitava luoghi come Vindolanda, ai margini del mondo romano.Curiosamente, alcune di queste sofferenze erano state già immaginate anche dalla letteratura. Il poeta W. H. Auden descrisse un soldato romano infreddolito, isolato e tormentato dai pidocchi lungo il Vallo di Adriano. Oggi, grazie all’archeologia e alla biologia, sappiamo che a quel quadro di disagi si aggiungevano anche gravi disturbi intestinali, diarree croniche e debilitanti infezioni. La scienza, insomma, amplia e conferma quell’immagine poetica, restituendo un ritratto ancora più realistico e duro della vita quotidiana sul confine settentrionale dell’Impero romano.
Image Credit: https://phys.org/news/2025-12-roman-soldiers-defending-hadrian-wall.html

