“QUEI DIPINTI APPARTENGONO A NOI”: COME UN PROGETTO GUIDATO DAGLI INDIGENI STA SFRUTTANDO LA TECNOLOGIA PER PROTEGGERE L’ARTE RUPESTRE DEL KAKADU.



Nella regione australiana del Parco Nazionale di Kakadu, uno dei paesaggi culturali più apprezzati del paese, prende corpo una iniziativa che sta rivoluzionando il modo in cui le comunità indigene gestiscono, proteggono e tramandano il loro patrimonio. Kakadu, inserito nella Lista del Patrimonio Mondiale dal 1981, attira migliaia di visitatori ogni anno, soprattutto durante la stagione secca. Molti di loro desiderano ammirare le straordinarie pitture rupestri conosciute come “gunwardebim” nella lingua locale Kunwinjku, testimonianze di una storia millenaria che continua a vivere fra le rocce di Ubirr.

I dipinti di Ubirr, raggiungenti fino a diciottomila anni di età, narrano storie che vanno dagli antichi megafauna estinti alle prime esperienze delle popolazioni aborigene con gli europei. Questi manufatti rappresentano parte integrante di un paesaggio culturale vivente, in cui passato e presente si intrecciano attraverso tradizioni orali e rituali tramandati da generazioni. Gli Aboriginali, definiti Bininj dalla lingua Kunwinjku, mantengono una responsabilità culturale profonda nei confronti di questo patrimonio: come sottolinea Alfred Nayinggul, uno dei principali proprietari tradizionali, “questi dipinti sono nostri. Ce ne prendiamo cura”.

Negli ultimi anni sono aumentate le preoccupazioni legate alla conservazione di questi siti unici. Il crescente flusso turistico e i cambiamenti climatici hanno reso più fragili i delicati equilibri dell’area. Alcuni visitatori ignorano i percorsi segnalati, abbandonano rifiuti o, in casi rari, danneggiano volontariamente luoghi sacri. La stagione delle piogge, da novembre a marzo, è caratterizzata da cicloni che allagano e minacciano i siti, mentre fra agosto e ottobre gli incendi incontrollati rischiano di alterare la composizione della pietra e dei pigmenti delle pitture rupestri.

Questa situazione ha spinto i Bininj, insieme a ricercatori di quattro università australiane, a sviluppare un piano di gestione per la conservazione dei siti culturali di Ubirr. L’idea ha preso avvio nel 2019 su iniziativa degli anziani delle comunità Mirrar Erre e Manilakarr. Nel marzo 2021 si è tenuto un workshop sul territorio, coinvolgendo custodi della tradizione, ranger Njanjma e quelli del parco, con l’obiettivo di raccogliere conoscenze ancestrali, preoccupazioni e desideri legati all’area di Ubirr.

Al centro della metodologia adottata si trova il “mappaggio dei valori culturali”, concetto che supera il semplice rilievo degli elementi fisici per includere le storie, le connessioni spirituali e il significato culturale attribuito ai luoghi dai proprietari tradizionali. Il processo ha visto gli anziani disegnare su grandi immagini satellitari, sovrapponendo fogli trasparenti per creare mappe stratificate e profondamente personali. Sono stati così segnati siti sacri, aree di vita tradizionale, zone di raccolta delle risorse e soprattutto aree minacciate da turismo, incendi o altri danni ambientali.

Attraverso sessioni ripetute di mappatura, diversi custodi della conoscenza hanno prodotto veri e propri archivi spaziali del proprio territorio. Le informazioni raccolte ora orientano le strategie di gestione, aiutando i ranger di Kakadu ad intervenire con maggiore precisione. Le storie sono state registrate sia in Kunwinjku che in italiano e racchiuse in un breve film documentario che racconta il valore culturale di Ubirr per i Bininj.

Durante le attività sul campo, la squadra delle ranger donne dell’East Alligator ha assunto un ruolo di rilievo. Questo momento ha offerto alle giovani la possibilità di apprendere direttamente dalle anziane, consolidando uno scambio generazionale fondamentale per la continuità culturale. Le fotografie raccolte in questa occasione rappresentano oggi la base di riferimento per il monitoraggio annuale delle pitture rupestri.

La documentazione dei siti artistici ha permesso la creazione di modelli tridimensionali dei luoghi più significativi. Tali rappresentazioni si pongono come valido strumento educativo e accessibile anche a chi, per varie ragioni, non può raggiungere fisicamente il territorio. Tuttavia, alcuni membri del progetto hanno espresso dubbi sulla possibilità che la digitalizzazione portasse al rischio di ridurre i siti culturali a semplici dati, privati del contesto che ne esprime la ricchezza.

Per superare questa criticità, si è scelto di usare un avanzato software di generazione virtuale per costruire ambienti interattivi capaci di riprodurre nel dettaglio acqua, clima, vegetazione e suoni raccolti direttamente sul posto. Il risultato è una rappresentazione digitale vivente delle zone umide di Kakadu, in cui le pitture mantengono il loro legame profondo con la terra.

Il progetto si presenta come modello replicabile per la gestione di territori e patrimoni culturali anche in altre aree protette australiane. Dimostra come le tecnologie digitali, se adattate alle esigenze e ai protocolli autoctoni, possono produrre risultati scientificamente rigorosi, senza tradire la sensibilità culturale e la visione del mondo indigena. Questa esperienza contribuisce in modo significativo al panorama degli strumenti dedicati alla tutela culturale, puntando a uno sviluppo rispettoso, partecipativo e sempre attento al valore spirituale dei luoghi.