Pompei, scoperta archeologica: panificio era prigione schiavi. Tre vittime.

A Pompei, nell’area centrale della città antica lungo via di Nola, in Regio IX, l’ultima campagna di scavi archeologici si è concentrata sull’insula 10, un intero isolato che sta emergendo da sotto metri di lapilli e cenere vulcanica. Questa attività, tra le più rilevanti degli ultimi decenni, non solo contribuisce alla messa in sicurezza e al consolidamento dei fronti di scavo, ma offre anche una finestra straordinaria sulla vita quotidiana e sul duro lavoro in una città sepolta dall’eruzione del Vesuvio nel 79 d.C.

L’insula 10, seppur confinante con isolati già scavati nei secoli passati, era rimasta nascosta, presentando un profilo quasi a sbalzo rispetto all’arco urbano circostante. Gli archeologi hanno dovuto affrontare la complessa sfida di scavare attraverso una spessa coltre di materiale vulcanico per raggiungere il livello originale dell’antica Pompei. In questa vasta area, una struttura mista di abitazione e attività commerciale ha attirato particolare attenzione: un panificio, in fase di ristrutturazione al momento della tragedia.

Il panificio, parte integrante dell’isolato, si presentava come un ambiente singolare e angusto, privo di un accesso diretto dalla strada e con una sola porta d’ingresso che si apriva su un atrio centrale. Questo spazio era dedicato alla produzione del pane, ma si distingue soprattutto per modalità operative che fanno pensare a una sorta di “prigione”. Le finestre dell’ambiente, piccole e protette da grate in ferro, non permettevano affacci esterni, e persino una finestra interna verso la parte residenziale della casa era munita di sbarre, a indicare una volontà di contenimento degli occupanti.

Gli studi condotti dagli archeologi hanno evidenziato le dure condizioni di lavoro a cui erano sottoposti gli schiavi impiegati nella macinatura del grano e nella produzione del pane. Tracce di animali, in particolare asini ciechi e bendati, venivano utilizzati per azionare le macine. I segni sul pavimento indicano che gli schiavi erano costretti a muoversi in cerchio all’interno dello spazio ristretto, sottoponendosi a condizioni di lavoro estenuanti, descritte anche da autori antichi come Apuleio, che narrava la fatica e la crudeltà dei forni romani.

Tra i reperti più toccanti spiccano i resti di tre individui ritrovati all’interno del panificio: due donne, una più anziana e una più giovane, e un bambino di età compresa tra i quattro e i sette anni. I loro scheletri giacevano sul pavimento della stanza, schiacciati dal crollo del soffitto e delle mura al momento della prima fase dell’eruzione. Questi corpi rappresentano probabilmente le prime vittime dell’eruzione nel sito, a testimonianza diretta di una tragedia improvvisa che colse anche chi si trovava in un ambiente in ristrutturazione, apparentemente destinato alla trasformazione e ad un nuovo ciclo di attività.

La complessità della struttura mette in luce anche dinamiche sociali e di controllo. La presenza di uno spazio così ristretto e sorvegliato indica una modalità di convivenza forzata, quasi clausura, per gli schiavi e per gli animali che qui abitavano e lavoravano. Il lavoro nel panificio era infatti considerato durissimo e degradante, un’occupazione spesso riservata a persone di condizione inferiore, criminali o schiavi, impiegati in un ambiente che un tempo doveva essere tanto faticoso quanto insalubre.

Un elemento di forte interesse archeologico e culturale è il ritrovamento di un affresco nel cortile vicino all’ingresso del panificio. Questo dipinto rappresenta una composizione alimentare che richiama sorprendentemente quello che oggi chiameremmo una pizza. Pur non essendo certo un vero e proprio antenato della moderna pizza con pomodoro e mozzarella, l’affresco mostra un piatto rotondo con una sorta di salsa di pesto, datteri e noci, accompagnato da un calice di vino. Le dimensioni di questa preparazione la collocano più come un antipasto che come un pasto principale, offrendo un curioso spunto sulla cucina romana e sulle modalità di consumo alimentare.

Questo scavo, parte di un progetto europeo di ampio respiro per la conservazione e la valorizzazione del patrimonio pompeiano, testimonia come la città custodisca ancora molti segreti, inclusi aspetti sociali e produttivi che contribuiscono a una comprensione più sfaccettata della vita antica. Ogni scoperta, dalla struttura degli ambienti alla vita delle persone che vi abitavano e lavoravano, contribuisce a restituire una narrazione più completa, lontana dall’idea di Pompei solo come città vittima di un disastro naturale, ma come spazio abitato, laborioso e complesso.