Nella regione di Kasserine, in Tunisia, al confine con l’attuale Algeria, una missione archeologica internazionale sta portando alla luce i resti imponenti di un’attività produttiva di vitale importanza per l’Impero Romano. Gli scavi, concentrati nell’area dell’antica Cillium, hanno infatti identificato un impianto per la produzione di olio d’oliva che si distingue per le sue dimensioni colossali, riconosciuto come il secondo più grande frantoio romano di tutto l’Impero.
L’indagine archeologica, co-diretta dall’Università Ca’ Foscari di Venezia, si focalizza su due antiche fattorie olivicole situate nel massiccio del Jebel Semmama. Il paesaggio circostante, caratterizzato da alte steppe e un clima continentale con significative variazioni di temperatura e precipitazioni modeste, rendeva la zona particolarmente adatta alla coltivazione degli ulivi. Questa risorsa agricola era fondamentale per l’economia dell’Africa Romana, una provincia che aveva fatto della Tunisia il principale fornitore di olio destinato a Roma.
Questa zona di confine dell’Africa proconsolare era storicamente abitata dai Musulamii, gruppi di origine numidica. Lontana dall’essere una regione isolata, essa fungeva da crocevia di scambi e incontri tra le autorità romane, i coloni veterani e le comunità indigene. Le strutture analizzate, che hanno operato in modo continuativo tra il III e il VI secolo dopo Cristo, offrono uno sguardo senza precedenti sull’organizzazione agricola e socioeconomica di queste aree di frontiera.
Il sito principale esaminato è Henchir el Begar, identificato dagli archeologi come l’antico Saltus Beguensis. Questo vasto complesso rurale era il centro di una grande tenuta nel distretto di Begua che, nel II secolo dopo Cristo, era di proprietà di un personaggio di spicco, il vir clarissimus Lucillius Africanus. Il luogo è altresì noto per una celebre iscrizione in latino (CIL, VIII, 1193 e 2358) che riporta una consultazione senatoria risalente al 138 dopo Cristo. Tale documento storico autorizzava l’organizzazione di un mercato bimensile, un evento di straordinaria importanza che scandiva la vita sociale, politica e religiosa dell’epoca.
L’insediamento di Henchir el Begar si estende su circa 33 ettari ed è suddiviso in due settori principali, denominati Hr Begar 1 e Hr Begar 2. Entrambe le sezioni sono dotate di impianti per la spremitura delle olive, completi di una grande vasca per la raccolta dell’acqua e diverse cisterne. Il settore Hr Begar 1 ospita l’impianto più vasto e imponente mai scoperto in Tunisia, classificato, come detto, al secondo posto per grandezza in tutto l’Impero Romano. Questa monumentale struttura, chiamata torcularium, era dotata di ben dodici torchi a leva. Il settore Hr Begar 2 preserva a sua volta un secondo impianto, sebbene leggermente meno esteso, fornito di otto torchi dello stesso tipo.
L’attività produttiva in questi settori è documentata per un lungo periodo, estendendosi dal III fino al VI secolo dopo Cristo. Il sito mostra un chiaro duplice scopo agricolo: oltre alla vasta produzione olearia, il ritrovamento in superficie di numerose macine in pietra e mulini evidenzia una produzione mista che includeva anche i cereali. Adiacente agli impianti di lavorazione, gli scavi hanno individuato un vicus rurale, il piccolo borgo dove risiedevano i coloni e, verosimilmente, parte della popolazione locale. Recenti indagini geofisiche, eseguite tramite radar a penetrazione di terra, hanno mappato una fitta e complessa rete di strutture residenziali e strade, confermando un’organizzazione sofisticata dello spazio rurale.
L’olio d’oliva rivestiva un ruolo essenziale nella vita quotidiana degli antichi Romani. Non era semplicemente un condimento per la cucina, ma era impiegato per la cura del corpo, negli sport, nella medicina e, se di qualità inferiore, come combustibile per l’illuminazione. Il Professor Sperti, che partecipa alla missione dal 2025 e ne è condirettore, sottolinea che gettare luce sulla produzione, la commercializzazione e il trasporto su larga scala di questo prodotto offre un’opportunità eccezionale per unire ricerca scientifica, valorizzazione del patrimonio e sviluppo economico.
La missione archeologica è frutto di una collaborazione scientifica internazionale avviata con successo nel 2023. È stata inizialmente promossa dalla Professoressa Samira Sehili dell’Università La Manouba, in Tunisia, e dalla Professoressa Fabiola Salcedo Garcés dell’Universidad Complutense de Madrid, in Spagna. A partire dal 2025, il Professor Sperti, vicedirettore del Dipartimento di Studi Umanistici di Ca’ Foscari, è entrato a far parte della direzione, ottenendo il riconoscimento istituzionale del Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale. Questo sforzo congiunto rafforza la collaborazione tra Tunisia, Spagna e Italia, specialmente nel crescente ambito dell’archeologia della produzione, un settore in cui l’olio rimane un elemento distintivo delle civiltà mediterranee ancora oggi. Tra i reperti emersi dai livelli che vanno dall’età moderna all’epoca bizantina, spiccano un braccialetto decorato in rame e ottone, un proiettile in calcare bianco e alcuni frammenti di scultura architettonica, incluso un pezzo di torchio romano riutilizzato in un muro bizantino. Questa ricerca conferma l’importanza dell’archeologia come campo di eccellenza per comprendere il passato e il suo impatto duraturo.

