Francia. Tombe neolitiche rivelano rituali raccapriccianti contro gli invasori

Roma e la sua Arte

Nord-est della Francia – Recenti studi archeologici hanno portato alla luce una serie di fosse funerarie neolitiche che raccontano una pagina cruda della storia dell’antichità: pratiche di guerra rituali, violenza estrema, e un ritmo sociale dominato dalla tensione e dalla mobilità forzata. Le scoperte provengono da siti situati nei pressi di Achenheim e Bergheim, in Alsazia, dove sono stati rinvenuti resti umani sepolti insieme in fosse collettive, alcuni con evidenti segni di mutilazione e altri integri.

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Gli studiosi, intenti a chiarire l’identità delle vittime e il contesto di queste sepolture, hanno analizzato chimicamente denti e ossa di 82 individui, separando coloro che avevano subito mutilazioni da coloro che erano stati sepolti in modo tradizionale. Chi era mutilato mostrava segni di provenienza diversa rispetto alla popolazione locale, con diete differenti e tracce che indicano migrazioni o appartenenza a gruppi stranieri. Questi elementi suggeriscono che si trattasse di vittime di un’azione violenta, forse invasori o predoni, puniti con mutilazioni estreme e sepolti in modo rituale come fosse parte della celebrazione di una vittoria militare. Le braccia mozzate potevano rappresentare trofei, simili a quelle documentate in altre culture neolitiche, in un quadro nel quale la violenza diventava simbolo di vittoria e controllo.

Coloro che invece erano rimasti intatti nelle sepolture avevano caratteri isotopici coerenti con gli abitanti di lungo corso del territorio. È plausibile che avessero perso la vita difendendo le loro comunità. L’intera vicenda mette in luce una società in cui la violenza poteva essere istituzionalizzata, dove gli aggressori erano deumanizzati e puniti in modo pubblico, al fine di legittimare rituali collettivi e rafforzare identità interne alla comunità. Quando il nemico era rappresentato come minaccia assoluta, infliggere mutilazioni rituali poteva diventare un modo per esorcizzare la paura e consolidare la coesione interna.

Questo tipo di celebrazione post-bellica, con caratteristiche così marcate, rappresenta uno dei primi casi ben documentati in Europa preistorica. La presenza delle fosse all’interno dell’insediamento definisce l’atto di violenza come uno spettacolo pubblico, rivolto a tutta la comunità. Comportamenti paralleli sono noti in alcune popolazioni etnografiche, dove la memoria dell’aggressore viene dissolta nel trofeo, in un processo che unisce vendetta, spettacolarizzazione e controllo.

Il periodo preso in esame, tra 4300 e 4150 a.C., coincide con fasi di grande instabilità climatica e mobilità diffusa in Europa. Le migrazioni interne, causate da cambiamenti ambientali o pressione demografica, potrebbero aver innescato conflitti tra comunità, con conseguente militarizzazione delle relazioni sociali e violenze organizzate. 

L’analisi isotopica ha permesso di comprendere molte cose, distinguendo chiaramente tra vittime locali e non locali, separando il contesto rituale dal contesto sociale. Questo approccio consente di leggere la violenza preistorica in chiave antropologica, sociale e rituale, piuttosto che esclusivamente emotiva o militare. In questo modo, emergono i contorni di comunità che facevano della celebrazione estrema, fatta di mutilazioni e sepolture collettive, un momento fondamentale della loro identità.

La scoperta illumina anche il modo in cui le società del Neolitico gestivano l’”altro”: rappresentandolo, caricandolo di irrazionalità, esponendolo, distruggendolo simbolicamente. In questo senso, la pratica rituale prendeva il posto della guerra tradizionale, trasformando il campo di battaglia in palcoscenico. Il sacrificio del corpo diveniva testimonianza pubblica della vittoria, forgiando la storia collettiva dell’insediamento.