La formazione del diritto romano si è sviluppata nel corso di diversi secoli ed è nata, nella stragrande maggioranza dei casi, nell’ambito di una lotta politica che, volendo legittimare i diritti ora di uno ora dell’altro, ha creato una grande quantità di norme senza tempo.
La Repubblica di Roma nasce come una costruzione di nobili possidenti terrieri, che chiamavano se’ stessi “patrizi”. A fianco a loro, con minori diritti, si formò la fazione di coloro che non erano possidenti patrizi appartenenti ad una “gente”, ma commercianti, operai, tecnici ed ex schiavi che comunque erano cittadini romani, originariamente esclusi dai diritti o dalla protezione di essi dalla consorteria dei predetti “Patrizi”. Tra i quali venivano scelti coloro che amministravano la città, militarmente e giuridicamente.
Le leggi originariamente non erano scritte, ma conservate dai “Pontefici”, che erano figure sia religiose che laiche, ma comunque tutti patrizi.
Lo scontro tra Patrizi e Plebei come nascita del diritto romano
Man mano che la plebe, guidata da coloro che possedevano una fonte di denaro e quindi di potere, prese coscienza del suo avere obiettivi comuni e della sua forza, cominció la lotta per raggiungere la parità dei diritti.
Le richieste di questa nuova coscienza civile erano chiare: ci volevano leggi scritte; le “magistrature” esercitanti diritto e potere non dovevano essere esclusive; non si poteva escludere dall’esercizio dei diritti una così grande maggioranza dei cittadini, tra i quali molti erano più ricchi (singolarmente) dei patrizi ed erano essenziali per la vita anche politica e militare della città.
Potremmo dire che accanto al Senato si stava formando il Populus.
In lunghi anni si ottennero, con lotte e compromessi, le leggi scritte delle XII tavole e la formazione di magistrature aperte ai plebei.
Il processo fu lunghissimo, abbracciando più di duecento anni di storia politica della Roma antica, e produsse molte figure politicamente attive: come gli edili, plebei e curuli.
I primi ad essere formati furono i pretori, uno all’anno. Dal 367 a.C , in seguito ad un compromesso fra frazione patrizia ed i plebei, ottennero una funzione di comando (imperium) tramite la quale sostituivano le funzioni consolari in loro assenza.
Soprattutto una funzione di “dire il diritto” e di nominare giudici privati che emettessero sentenza (noi diremmo di diritto privato) fra i cittadini romani che erano i soli che potevano essere soggetti attivi del “diritto civile” ( cioè dei “cives”, dei cittadini).
La funzione pretorile che ci interessa era il “dire il diritto” (ius dicere): il pretore, col suo diritto di essere ubbidito (imperium) aveva una duplice funzione: individuare le norme applicabili e nominare il giudice (o i giudici detti allora recuperatores) che dietro suo ordine assegnava o denegava la sentenza, stabilendo la somma da versare al vincitore.
Tutte le decisioni erano di risarcimento.
La procedura era detta “legis actio” ( cioè azione tramite le leggi). Le parole che, senza poter variare nulla, dovevano essere pronunziate nascevano dalle parole usate nelle XII tavole, che erano in latino arcaico.
Ce ne parla Gaio (un giurista romano) nelle sue “Istituzioni”, un testo pervenutoci e base delle istituzioni che facevano parte del corpus legislativo di Giustiniano. Riporta (Gaio) la notizia di un cittadino romano che aveva subito il taglio delle sue viti (danno assai grave) e che con la parola “viti” espose la sua richiesta di risarcimento. Siccome le XII tavole parlano di “alberi”, la richiesta fu respinta perché, appunto, la “parola precisa” era “alberi”.
Nel 337 a.C la carica fu aperta anche ai plebei. Ma sempre si trattava di un procedimento orale in un diritto riservato ai cittadini.
Il Pretore Peregrino e il processo formulare
Nel 242 fu affiancato al pretore un secondo pretore dotato di facoltà di comando detto “Peregrinus” ( peregrini erano gli stranieri, cioè i cittadini di altra città o paese) che doveva giuridicamente trattare i problemi sorti fra cittadini romani e stranieri, o tra stranieri diversi comunque abitanti a Roma.
Questi, esercitando la propria facoltà di comando, esprimeva un diritto nato dalla sua carica e da tale potere detto “ ius honorarium”, che seguiva nel corso della sua carica. Da essa nasceva il diritto di emettere e pubblicare un “editto” nel quale diceva esplicitamente quali diritti intendeva riconoscere e come li voleva tutelare.
Esprimeva, in pratica la “formula”. Questo processo, era aperto a tutti, era scritto, era più semplice e non esistevano parole speciali per attivarlo. Il processo (detto formulare) nasceva dall’editto o da nuove statuizioni (decreti) che potevano nascere dall’esperienza.
Si realizzava in due fasi: nella prima il richiedente esprimeva al pretore informalmente i fatti ed otteneva la “formula” da citare. Doveva quindi rivolgersi alla controparte (che era tenuta a rispondere) davanti al giudice. Come nella legis actio, era necessaria la presenza delle due parti.
Doveva leggere ad alta voce (lentamente e chiaramente) la formula che doveva essere capita ed accettata esplicitamente. Poi il pretore nominava il giudice cui il pretore dava le istruzioni. Esso emetteva sentenza. Come al solito era in forma risarcitoria.
L’editto era il principale atto di autoregolamentazione del pretore peregrino; una sorta di programma della propria attività di espressione del diritto. In esso il magistrato fissava, in maniera comunque mutabile, i principi cui si sarebbe attenuto nel corso dell’anno nel quale era in carica.
Il suo contenuto ( che consisteva essenzialmente in formule destinate alla impostazione delle controversie) si strutturava in vari Momenti:
- introduzione della lite e svolgimento della stessa;
2) Giurisdizione ordinaria (cioè cause normali e tipiche);
3) Mezzi urgenti di tutela;
4) Esecuzione della sentenza e procedure fallimentari sui debitori;
5). Interdetti, eccezioni e accordi intervenuti davanti al Pretore stesso.
L’editto poteva trasmettersi al successivo pretore (se lo faceva suo) e allora si parlava di “Edictum tralaticium”. Oppure poteva essere l’espressione della volontà del pretore all’inizio del suo anno di carica (Edictum Perpetuum) o nascere da fatti nuovi presi in considerazione (Edictum repentinum). Per il resto il pretore agiva per decreto.
Tra il 150 a.C (lex Aebutia) e il 17 a.C (Lex Iulia iudiciorum privatorum) vari provvedimenti portarono all’integrale sostituzione delle originarie “legis actiones” col processo formulare in tutti gli ambiti e anche nei processi che vedevano contrapporsi cittadini romani.
Le notizie sul processo ci pervengono dalle “Istituzioni” del giurista Gaio, attivo all’inizio del II secolo d.C, che furono poi trasfuse nell’opera giuridica di Giustiniano. Le istituzioni originali ci pervennero da una scoperta del 1816. Erano composte in Quattro libri, scritti a fini didattici. Siamo certi che morì dopo il 178 d.C perché cita un senatoconsulto datato in tale anno.
Perché diciamo che intorno all’opera dei pretori e soprattutto di quello “Peregrinus” si sviluppò il diritto romano?
Perché sia come consulenti dei magistrati che come principi che dall’opera di questi si potevano ricavare, si sviluppò una somma di elaborazioni concettuali, che tale diritto vennero a formare e sviluppare e che nei Digesta dell’opera di Giustiniano furono poi raccolti.
E sono giunti all’elaborazione degli studiosi del ‘500 e del ‘600.