Osijek, Croazia – Nelle profondità di un antico pozzo, riemerso per caso nel 2011 durante lavori in un’area archeologica dell’odierna Osijek, un gruppo di studiosi ha portato alla luce una scoperta inquietante e affascinante: i resti scheletrici di sette uomini, gettati insieme secoli fa. Dopo anni di analisi, l’équipe guidata dal bioarcheologo Mario Novak dell’Istituto per la Ricerca Antropologica di Zagabria ha confermato che appartengono a soldati romani caduti durante la cruenta battaglia di Mursa del 260 d.C., scontro che oppose l’imperatore Gallieno al generale Ingenuo, autore di una rivolta contro Roma.
Le ossa, sepolte per quasi duemila anni, raccontano una storia di violenza e abbandono. Tutti gli individui studiati erano uomini adulti: quattro di età compresa tra i venti e i trent’anni, e tre di mezza età. Gli scheletri presentano segni inequivocabili di combattimenti ravvicinati: fratture alle costole, ferite da punta e colpi contundenti sulla fronte. Le modalità con cui furono gettati nel pozzo, privi di armi, armature o qualunque oggetto personale, suggeriscono che vennero spogliati subito dopo la morte. I ricercatori ipotizzano che fossero vittime di un’epurazione post-battaglia, eliminate e occultate in fretta da chi aveva interesse a cancellare le tracce di un massacro.
Tra i dettagli più significativi emersi dallo studio vi è la scoperta di nuove formazioni ossee all’interno delle coste, interpretabili come segno di infezioni respiratorie croniche. Questo elemento, sottolinea Novak, rivela che molti soldati potrebbero aver combattuto in condizioni di salute precarie, indeboliti da malattie comuni nelle campagne militari dell’Impero. Attraverso le analisi genetiche, si è inoltre scoperto che questi uomini provenivano da diverse aree dell’Impero Romano: le loro origini biologiche erano eterogenee, un riscontro perfettamente coerente con la composizione multietnica degli eserciti romani del III secolo.
Il contesto cronologico della scoperta è stato definito grazie al carbonio 14 e a un dettaglio numismatico di grande rilievo. Tra i resti, infatti, è stata rinvenuta una moneta datata al 251 d.C., epoca coincidente con il periodo di Gallieno. Questo elemento, insieme all’ubicazione del pozzo entro l’antica area urbana di Mursa, consolida l’ipotesi che gli uomini vi siano finiti poco dopo la battaglia del 260 d.C., una delle più sanguinose guerre civili del tardo Impero. Mursa, situata allora lungo il corso della Drava, rappresentava un punto strategico per il controllo dei Balcani settentrionali, e il suo destino fu segnato proprio da quella battaglia che decise i nuovi equilibri del potere imperiale.
La ricostruzione fa emergere aspetti inediti sulla brutalità del conflitto e sul destino dei combattenti romani. I cadaveri gettati nel pozzo senza sepoltura formale testimoniano la fretta e la violenza di un frangente di caos politico, quando la fedeltà a un generale ribelle poteva significare la condanna all’oblio. Mursa fu teatro di una guerra fratricida che vide le legioni romane affrontarsi tra loro in una spirale di sangue difficile da immaginare oggi. Gallieno, vittorioso, consolidò temporaneamente il suo potere, ma pagò un prezzo altissimo: il suo esercito uscì stremato e la provincia devastata.
Oltre al valore storico, la ricerca condotta in Croazia rappresenta un importante contributo alla bioarcheologia militare. L’integrazione tra analisi osteologiche, genetiche e cronologiche ha consentito di trasformare un rinvenimento casuale in una finestra aperta sulla vita e la morte dei soldati dell’Impero. Ogni cranio, ogni frattura, ogni residuo osseo racconta la tensione di un’epoca in cui la lealtà al comando poteva cambiare da un giorno all’altro, e dove la sorte dei vinti era spesso un pozzo profondo e silenzioso.
Gli studiosi hanno pubblicato i risultati sulla rivista scientifica PLOS One, offrendo un quadro dettagliato delle metodologie e degli esiti delle indagini. L’articolo si inserisce in un filone di ricerche sempre più orientato a integrare dati antropologici e storici per comprendere meglio le dinamiche belliche nell’Impero Romano. Secondo Novak, il caso di Mursa potrebbe non essere isolato. Altri pozzi e fosse ritrovati in Croazia e nei Balcani potrebbero custodire tracce simili di soldati caduti nello stesso conflitto, suggerendo che l’intera area fu teatro di scontri ben più estesi di quanto tramandato dalle fonti scritte.
La battaglia di Mursa lascia intravedere la durezza dei conflitti civili romani in un’epoca di transizione. Questi resti, sottratti al silenzio del tempo, restituiscono volti senza nome a una pagina disperata della storia imperiale. Lo studio di Osijek dimostra quanto ancora le ossa possano raccontare: tra le pieghe del terreno e della memoria riaffiorano le conseguenze tragiche di un potere diviso e di un esercito frantumato da ambizioni e lealtà contrapposte.