Al largo di Santa Maria del Focallo, nel territorio di Ispica in Sicilia, i fondali hanno restituito un nuovo prezioso reperto che getta luce sulla navigazione antica nel Mediterraneo. Un relitto greco, databile tra il VI e il V secolo avanti Cristo, è stato quasi completamente portato alla luce a soli sei metri di profondità. La scoperta è stata possibile grazie all’ultima campagna di archeologia subacquea condotta dal Dipartimento di Studi umanistici e del patrimonio culturale dell’Università di Udine insieme alla Soprintendenza del Mare della Regione Siciliana. L’attività ha avuto carattere multidisciplinare, coinvolgendo rilievi diretti, riprese fotogrammetriche e la creazione di un modello tridimensionale dell’antica nave.
La campagna di scavo, iniziata nel 2024, ha permesso ai ricercatori di portare alla luce la struttura dell’imbarcazione, che rientra nella tipologia denominata “su guscio”. In questa tecnica costruttiva, le tavole del fasciame erano saldamente collegate fra loro a funzione strutturale, mentre le ordinate avevano semplicemente un ruolo di rinforzo. Il quadro architettonico della nave siciliana si è rivelato particolarmente interessante grazie all’assemblaggio del fasciame, assicurato da incastri detti “mortase e tenoni”, che permettevano all’imbarcazione di mantenere una struttura autoportante. Con lo scavo in profondità, facilitato dall’impiego mirato di una sorbona ad acqua, è stato possibile avanzare di circa due metri rispetto alla precedente trincea, allargando ulteriormente l’area d’indagine fino ad esaurire il deposito archeologico.
Tra i reperti emersi ci sono pezzi di ceramica a figure nere, un piccolo unguentario, resti dell’albero della nave e un pezzo di cima, sorprendentemente conservato, trovato nei pressi dell’albero stesso. Particolarmente significativo è l’unguentario, dove è stata incisa in lingua greca la parola “NAU”, ovvero “nave”. Questo elemento epigrafico contribuisce ulteriormente a chiarire la funzione e la provenienza dell’antico relitto. Le nuove scoperte comprendono anche l’individuazione di altre parti fondamentali dell’ossatura della nave, come il paramezzale e una delle due ruote, cioè l’elemento curvo che prolunga il paramezzale verso l’alto, dettagli che aiutano a ricostruire il disegno originale dell’imbarcazione.
La campagna di ricerca, documentata attraverso video e rilievi fotogrammetrici, si è distinta per la collaborazione tra istituzioni e specialisti, coinvolgendo la Capitaneria di Porto di Pozzallo e il supporto logistico della “3PSUB”, che ha fornito i mezzi nautici necessari alle operazioni. Da segnalare il ruolo fondamentale di Antonino Giunta, pescatore subacqueo locale che ha segnalato il sito alla Soprintendenza del Mare, confermando la crescente importanza della collaborazione tra comunità ed enti scientifici nella tutela del patrimonio sommerso.
La squadra di lavoro ha visto impegnati Massimo Capulli dell’Università di Udine e Fabrizio Sgroi della Soprintendenza del Mare, insieme ad altre figure come Dario Innocenti e Lucrezia Maghet per l’ateneo friulano, Salvo Emma della Soprintendenza, Lisa Briggs e Peter Campbell per Sunk Costs Productions, e Paolo Ciacera per il supporto nautico. La sinergia tra ricerca scientifica e produzione cinematografica ha trovato massima espressione grazie al progetto “Shipwreck of Sicily”, docufilm prodotto in collaborazione con la Sikelia Productions di Martin Scorsese e Sunk Costs Productions, che ha finanziato la seconda campagna di studio sull’antico relitto greco di Ispica. Il film, girato in Sicilia negli ultimi due anni, racconterà non solo le indagini su questo relitto ma anche su quelli di Marausa II, delle Colonne di Taormina, Gela II e Ustica, evidenziando il valore dei reperti sommersi che costellano la costa siciliana.
Il progetto di ricerca si inserisce in un più ampio programma di collaborazione scientifica denominato “Kaukana Project”, avviato nel 2017 da Sebastiano Tusa e Massimo Capulli, con l’obiettivo di ricostruire in maniera diacronica il paesaggio sommerso e costiero della provincia di Ragusa. La ricerca abbraccia le testimonianze storico-archeologiche del litorale tra le antiche città di Ispica, Kaukana e Kamarina, componendo un mosaico prezioso per la conoscenza del patrimonio mediterraneo. Ogni frammento rinvenuto, ogni porzione di scafo ricomposto e ogni reperto studiato permette di arricchire la visione del passato, spingendo avanti le frontiere dell’archeologia subacquea e favorendo la conservazione della memoria storica collettiva.
L’emergere di questo relitto greco rappresenta quindi una tappa fondamentale per la riscoperta del patrimonio sommerso siciliano e mette in evidenza non solo le abilità costruttive degli antichi greci ma anche il valore della collaborazione tra istituzioni, esperti, cittadini e realtà produttive. Il futuro della ricerca subacquea in Sicilia appare promettente, segnato da uno spirito di condivisione e passione che unisce la conservazione del passato con le nuove prospettive della divulgazione scientifica e cinematografica.