A Canterbury, una nuova ricerca firmata da uno storico dell’Università di Bristol riapre uno dei grandi enigmi del Medioevo: quale fosse lo scopo originario e dove si trovasse in origine il celebre Arazzo di Bayeux. Il professor Benjamin Pohl, del Dipartimento di Storia, ha recentemente pubblicato uno studio in cui rilegge questo straordinario manufatto, avanzando un’ipotesi affascinante. Secondo lo studioso, l’imponente ricamo non sarebbe stato pensato soltanto come oggetto da esporre in una cattedrale, ma avrebbe avuto una funzione ben più pratica: accompagnare i pasti dei monaci medievali, fungendo da “lettura visiva” durante i momenti di convivialità e riflessione.
L’Arazzo di Bayeux è un capolavoro senza eguali. Si tratta di un ricamo medievale di dimensioni straordinarie: lungo circa 68 metri (circa 224 piedi) e dal peso imponente, che si aggira intorno ai 350 chilogrammi. La sua notorietà è legata alla ricchezza e alla precisione con cui racconta, scena dopo scena, gli eventi che portarono alla decisiva Battaglia di Hastings del 1066. Fu allora che Guglielmo II di Normandia completò l’invasione dell’Inghilterra, detronizzando il re Aroldo II. L’importanza storica dell’opera è tale che, a quasi mille anni dalla sua realizzazione, il prossimo anno l’Arazzo farà ritorno nel Regno Unito per essere esposto al British Museum; un evento eccezionale, che segnerà la sua prima “rimpatriata” da quando venne creato.
Nonostante il suo enorme valore storico e artistico, le origini dell’Arazzo di Bayeux restano in gran parte avvolte nel mistero. Gli studiosi concordano sul fatto che l’opera sia stata ideata presso l’Abbazia di Sant’Agostino, negli anni Ottanta dell’XI secolo, quindi intorno al 1080; in quel periodo l’abbazia era guidata da Scolland, il primo abate dopo la Conquista normanna: un religioso di origine normanna che aveva trascorso parte della sua vita monastica nel celebre monastero di Mont Saint-Michel.
Esiste inoltre un ampio consenso sul possibile coinvolgimento di Odo, vescovo di Bayeux, conte del Kent e fratellastro di Guglielmo il Conquistatore. Anche se il ruolo preciso di Odo nella realizzazione dell’arazzo è ancora oggetto di discussione, un dettaglio curioso rafforza questa ipotesi: una delle scene ricamate lo raffigura proprio mentre prende parte a un pasto; un elemento che potrebbe offrire indizi preziosi sulla funzione originaria dell’opera.
Nell’articolo pubblicato sulla rivista Historical Research, il professor Pohl propone una rilettura approfondita, sia concettuale sia storica, dell’Arazzo di Bayeux. Il suo studio non si limita a porre nuove domande, ma contribuisce anche a chiarire diversi enigmi e apparenti contraddizioni legate al design dell’opera e ai suoi aspetti materiali. Lo storico analizza con grande attenzione il messaggio che l’arazzo era destinato a trasmettere e il pubblico a cui si rivolgeva, soffermandosi in particolare su un dato sorprendente: l’assenza quasi totale di documenti che ne attestino la collocazione, o addirittura l’esistenza stessa, prima del XV secolo. Un silenzio delle fonti che rende ancora più affascinante la storia di questo straordinario manufatto medievale.
Il professore riconosce apertamente che, prima della sua prima attestazione documentaria nella Cattedrale di Bayeux — contenuta in un inventario del 1476 — non sappiamo dove fosse collocato l’Arazzo; né se fosse effettivamente appeso in modo permanente. La nuova ipotesi avanzata da Pohl propone uno scenario diverso e sorprendente: il luogo più adatto per esporre e “leggere” l’Arazzo di Bayeux sarebbe stato il refettorio dell’abbazia di Sant’Agostino, proprio durante i pasti della comunità monastica. L’idea è nata nel corso di un seminario con i suoi studenti, invitati a esplorare possibilità alternative mai prese seriamente in considerazione. Dopo aver passato in rassegna vari ambienti del monastero abbastanza grandi da ospitare un’opera di tali dimensioni — come il dormitorio o la sala capitolare — l’attenzione si è concentrata sul refettorio; uno spazio centrale nella vita quotidiana dei monaci e particolarmente adatto a una fruizione collettiva e narrativa dell’arazzo.
L’ipotesi del refettorio come luogo di fruizione dell’Arazzo offre una chiave di lettura capace di sciogliere molte delle contraddizioni che da tempo incuriosiscono gli studiosi. A chi era davvero destinata l’opera: a un pubblico religioso o laico? Era necessario saper leggere per seguirne il racconto? E la storia rappresentata era inglese, normanna, entrambe o, in fondo, nessuna delle due?
Inserito nel contesto del refettorio, l’Arazzo trova una collocazione coerente. La narrazione, al tempo stesso storica e morale, si prestava perfettamente a essere “letta” durante i pasti, accompagnando la vita quotidiana dei monaci; in questo modo, le immagini diventavano uno strumento di riflessione e insegnamento, accessibile a tutti, indipendentemente dal livello di alfabetizzazione, e capace di trasmettere significati complessi attraverso la forza del racconto visivo.
Nel Medioevo, il momento del pasto aveva un’importanza che andava ben oltre il semplice nutrimento. Era un’occasione fondamentale per la vita comunitaria: si condividevano esperienze, si rifletteva insieme, si accoglievano gli ospiti e si rafforzava il senso di appartenenza a una stessa identità. In un contesto simile, l’Arazzo di Bayeux, con il suo racconto epico della conquista, avrebbe trovato la cornice perfetta. Le immagini, osservate e “lette” collettivamente durante i pasti, potevano stimolare la memoria storica, trasmettere valori e contribuire a consolidare l’identità della comunità monastica; rendendo l’esperienza del refettorio non solo quotidiana, ma anche profondamente simbolica.
Nonostante la solidità teorica di questa ipotesi, il professor Pohl sottolinea con cautela che non esistono prove dirette della presenza dell’Arazzo di Bayeux nell’abbazia di Sant’Agostino. Questa mancanza di testimonianze concrete potrebbe però essere spiegata da una serie di circostanze storiche. Il nuovo refettorio normanno dell’abbazia, progettato negli anni Ottanta dell’XI secolo e forse concepito proprio per accogliere un’opera di tali dimensioni, non fu completato prima degli anni Venti del XII secolo; di questa struttura, inoltre, non restano tracce architettoniche. Se i lavori subirono ritardi, è possibile che l’Arazzo sia stato temporaneamente accantonato, finendo per essere dimenticato per oltre una generazione. Proprio questa lunga fase di “oblio” potrebbe aver favorito, secoli dopo, il trasferimento dell’opera a Bayeux, dove riemerge nelle fonti circa trecento anni più tardi.
Nel complesso, l’analisi e gli indizi raccolti da Pohl fanno del refettorio monastico dell’Abbazia di Sant’Agostino un candidato credibile per la collocazione originaria dell’Arazzo. Una proposta che non solo riapre il dibattito storico, ma offre anche un’immagine suggestiva di come questo straordinario capolavoro potesse, un tempo, far parte della vita quotidiana di una comunità monastica medievale.
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