A Luxor, nell’attuale Egitto, si erge da millenni uno dei luoghi più iconici della spiritualità antica: il tempio di Karnak. Questo monumentale complesso templare, inserito dal 1979 tra i Patrimoni dell’Umanità UNESCO, è stato di recente al centro di una delle più approfondite indagini geoarcheologiche mai condotte nella regione tebana. Un’équipe internazionale di archeologi, coordinata dal dottor Angus Graham dell’Università di Uppsala e con il contributo significativo di studiosi dell’Università di Southampton, ha analizzato cinquantuno carotaggi di sedimenti raccolti sia all’interno che nei dintorni della vasta area tempio, accompagnando le analisi stratigrafiche allo studio dettagliato di decine di migliaia di reperti ceramici. L’obiettivo era svelare le origini e l’evoluzione morfologica della zona, fornendo per la prima volta una lettura integrata tra configurazione del paesaggio e trasformazioni culturali.
Gli esiti della ricerca gettano nuova luce sulla natura e la cronologia del sito. In epoca anteriore al 2520 a.C., secondo i dati raccolti, il sito dove oggi si trova Karnak si presentava come un territorio instabile e soggetto a ricorrenti inondazioni dovute alle piene violente del Nilo. In quel periodo, l’area non era adatta ad accogliere insediamenti umani stabili, ed è solo durante l’Antico Regno, nel periodo tra il 2591 e il 2152 a.C., che si registra la prima presenza permanente, confermata anche dall’analisi tipologica della ceramica ritrovata e datata tra il 2305 e il 1980 a.C. Gli archeologi sono così riusciti, grazie al confronto tra le fonti testuali e i reperti materiali, a collocare la fondazione del santuario nel cuore degli sviluppi politici e religiosi più antichi della civiltà faraonica.
Il paesaggio originario che accoglieva il tempio era molto diverso dall’attuale. Il terreno su cui sarebbe sorto Karnak era modellato da due canali principali del Nilo: uno a occidente, già noto, e uno a oriente, ipotizzato a lungo dagli studiosi ma ora finalmente descritto con precisione dalle nuove analisi. Questi corsi d’acqua, incidendo sempre più profondamente il letto del fiume nel corso dei millenni, determinarono la formazione di un’isola di terreno elevato, un “altopiano” naturale che si distingue come unica area più alta rispetto alle sponde circostanti e che offriva condizioni favorevoli tanto per le prime costruzioni quanto per la sopravvivenza degli abitanti. Man mano che i canali si ramificavano e il loro corso si spostava progressivamente verso est e ovest, si creavano nuove superfici disponibili per l’espansione del complesso monumentale. Le campagne di scavo hanno anche messo in evidenza come molti degli edifici sorti nei secoli successivi furono costruiti direttamente sopra i letti di antichi rami del Nilo, una testimonianza tangibile di come la geografia abbia guidato e determinato le scelte architettoniche e cultuali.
Non meno rilevante, nell’evoluzione del sito, fu l’intervento umano. Gli antichi egizi agirono concretamente sul paesaggio: il team ha raccolto indizi chiari secondo cui le comunità locali trasportavano sabbia dal deserto e la accumulavano nei vecchi canali per ottenere nuova terra edificabile. Questa pratica di “modellamento artificiale” del territorio rivela una conoscenza raffinata delle dinamiche fluviali e un approccio ingegnoso al controllo delle risorse ambientali.
Gli studiosi propongono un’interpretazione che intreccia scienza e mito. Le fonti letterarie dell’Antico Regno riferiscono che la divinità creatrice si sarebbe manifestata come un’altura emergente dalle acque primordiali del caos, un’immagine potentissima nella visione egizia della cosmogonia. L’isola naturale su cui fu fondato Karnak costituisce un unicum nella regione: nessun’altra area simile, circondata da acque o canali, è stata identificata alle stesse latitudini. Questo dettaglio suggerisce che la scelta del sito non fu casuale né puramente pratica, ma rispondeva alla volontà di ricreare sulla terra il mito della creazione divina, celebrando il luogo come punto di emersione di una nuova forma del dio Ra-Amon. Le fonti del Medio Regno, successive di alcuni secoli, accentuano questa lettura, parlando esplicitamente del “mucchio primordiale” che si solleva dalle “Acque del Caos”. Nei secoli a seguire, l’esperienza annuale della piena e del suo graduale ritiro venne probabilmente percepita come una rievocazione ciclica del mito originario: il tempio appariva agli occhi degli antichi quasi “sorgere” dalle acque con l’avanzare della stagione secca.
Il nuovo studio, concedendo agli archeologi la possibilità di allargare lo sguardo a tutta la pianura alluvionale di Luxor, apre la strada a prossime campagne di ricerca su altri siti sacri della zona. Analizzare il rapporto tra acque, sponde, isole e monumentalità potrà offrire strumenti ancora più solidi per comprendere il ruolo svolto dall’ambiente naturale e dalle scelte umane nella definizione del centro religioso, simbolico e identitario dell’antico Egitto. Karnak si rivela, così, non solo un colosso architettonico sopravvissuto attraverso i millenni, ma uno specchio fedele di come mito, ingegno e paesaggio abbiano condiviso la genesi di una civiltà senza eguali.