Groenlandia – Nelle regioni più remote del Nord Atlantico, tra le antiche formazioni rocciose della Groenlandia e del Canada, un gruppo internazionale di ricercatori ha individuato i resti di ciò che viene descritto come la Terra primordiale, un frammento autentico del pianeta originario esistito circa 4,5 miliardi di anni fa. Lo studio, pubblicato sulla rivista scientifica Nature Geosciences, è stato coordinato dalla Carnegie Institution for Science di Washington e coinvolge geologi e chimici provenienti da diverse università del mondo. Si tratta di una delle scoperte più significative degli ultimi anni per la comprensione delle origini planetarie e dell’evoluzione della crosta terrestre, in grado di fornire indizi concreti sulla composizione della cosiddetta proto-Terra, formata prima dell’immane impatto cosmico che alterò per sempre il volto del pianeta e, secondo molte ipotesi, diede origine alla Luna.
Le analisi hanno riguardato campioni rocciosi raccolti in Groenlandia sud-orientale e nel Canada nord-orientale, regioni che custodiscono alcune delle più antiche strutture geologiche conosciute, i cosiddetti cratoni archeani. Tali depositi, per la loro estrema stabilità, rappresentano vere e proprie finestre sulla storia più profonda della Terra, consentendo agli scienziati di accedere a materiali che non sono stati profondamente modificati dai processi successivi di fusione e differenziazione. In un laboratorio ad alta tecnologia, i ricercatori hanno sottoposto i campioni a spettrometria di massa allo scopo di misurare con la massima precisione il rapporto tra gli isotopi di potassio presenti nelle rocce. La chiave della scoperta risiede proprio in questo elemento: un’anomalia isotopica, in particolare un deficit di potassio-40, ha mostrato affinità sorprendenti con quella riscontrata nei meteoriti primordiali, considerati fossili del Sistema Solare.
Il confronto con i meteoriti ha permesso di costruire un quadro coerente: i materiali con concentrazioni ridotte di potassio-40 potrebbero essere i superstiti della proto-Terra, sfuggiti ai violenti processi di fusione avvenuti dopo l’impatto con il corpo celeste che avrebbe generato la Luna. Da quel momento, la struttura originaria del pianeta venne quasi completamente rimescolata, ma minuscoli frammenti del suo materiale primordiale sarebbero rimasti intrappolati nel mantello, per poi emergere in superficie attraverso l’attività vulcanica. In questo senso, anche le analisi effettuate su alcune lave delle Hawaii hanno fornito dati compatibili, suggerendo che la materia antichissima si sia mantenuta nelle profondità terrestri per miliardi di anni prima di riaffiorare.
Oltre al valore geochimico, la ricerca apre prospettive di grande portata nell’ambito dell’evoluzione planetaria. La possibilità di riconoscere e studiare tracce autentiche della Terra originaria permette agli studiosi di capire meglio come si formarono i primi continenti, quali cicli di vulcanismo e subduzione abbiano modellato la crosta primitiva, e in che modo la composizione interna del pianeta si sia differenziata nel tempo. Le simulazioni realizzate dai geologi mostrano che le variazioni isotopiche del potassio furono decisive nei processi di separazione tra crosta e mantello, segnando l’avvio dell’attività geologica che avrebbe poi reso possibile la stabilità superficiale e, a lungo termine, le condizioni favorevoli alla vita.
A confermare la portata del risultato è anche la convergenza di più discipline. Le misurazioni chimiche sono state integrate con modelli astronomici e dati provenienti da osservazioni di meteoriti raccolti in varie parti del mondo. Secondo gli esperti della Carnegie Institution, questa multidisciplinarità ha permesso di delineare per la prima volta una firma chimica chiara e identificabile della Terra primordiale, rendendo possibile distinguere il materiale anteriore al grande impatto da quello fuso e riformato in seguito. Si tratta di un passo fondamentale non solo per la geologia terrestre, ma anche per l’astrofisica dei pianeti rocciosi, perché consente di paragonare in modo più preciso la nostra storia a quella di altri corpi del Sistema Solare.
L’interesse della comunità scientifica internazionale è immediato. Diversi istituti – dal MIT agli osservatori europei – stanno orientando nuovi programmi di ricerca verso regioni del pianeta che potrebbero ancora custodire resti simili, tra cui il cratone dell’Africa meridionale e alcune zone dell’Australia occidentale. L’obiettivo è quello di ampliare la mappa dei depositi in cui il materiale originario della proto-Terra potrebbe essersi conservato e di verificare se le stesse anomalie isotopiche del potassio siano rintracciabili altrove. Gli studi futuri, secondo i ricercatori, potrebbero chiarire definitivamente non solo la sequenza di eventi che portarono alla nascita della Luna, ma anche i tempi e le modalità con cui la Terra raggiunse la sua attuale composizione chimica.
La scoperta dei resti primordiali nelle rocce di Groenlandia e Canada rappresenta così una testimonianza concreta di ciò che rimane del pianeta nella sua epoca più antica. Ogni nuovo dato analitico aggiunge un tassello al grande mosaico della storia terrestre, dalla fusione dei primi minerali alle temperature estreme dell’Archeano fino alla comparsa dei primi oceani. Le minuscole tracce di potassio conservano la memoria di un’epoca remota in cui la Terra non aveva ancora assunto la forma che conosciamo: uno sguardo diretto alle origini di tutto ciò che oggi costituisce la base fisica della nostra esistenza.