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La battaglia di Harzhorn. La vittoria dimenticata di Roma in Germania

La battaglia di Harzhorn è uno scontro armato fra le legioni guidate dall’imperatore Massimino il Trace e i guerrieri germanici nel 235 d.C, nella odierna Bassa Sassonia, in Germania.

La battaglia vide i romani trionfare grazie ad una migliore disposizione tattica e all’uso dell’artiglieria.

Si tratta di uno episodio importante perchè dimostrativo della capacità dell’esercito romano di penetrare in Germania anche ben dopo la famigerata disfatta di Teutoburgo.

I romani in Germania: le prime guerre

Sotto il principato di Augusto, Roma aveva avviato una serie di battaglie in Germania, con i generali Tiberio e Druso, per sconfiggere le tribù e mettere in sicurezza i confini settentrionali dell’impero.

Si trattò di campagne vincenti, che portarono i confini di Roma fino al fiume Elba, e all’avvio della romanizzazione della Germania, considerata ormai una nuova provincia che si avviava ad essere inglobata nell’orbita romana.

Purtroppo, una visione strategica errata, portò Augusto a considerare la provincia “assicurata”, quando invece il processo non era ancora concluso.

Per questo, il suo generale Quintilio Varo venne tradito e sconfitto nell’imboscata di Teutoburgo, nel 9 d.C assieme a tre legioni  XVII, la XVIII e la XIX, che vennero totalmente annientate.

Questa disfatta, importante, mise in seria discussione la presenza romana in Germania e compromise il processo di romanizzazione che era stato intrapreso negli anni.

La rivincita e il confine sul Reno

Sotto l’imperatore successivo ad Augusto, Tiberio, il giovane e valente generale Giulio Cesare Germanico venne incaricato di tornare in Germania per vendicare l’onta di Teutoburgo ed impedire che una coalizione germanica potesse minacciare la sicurezza dell’impero.

La spedizione ebbe successo: Germanico, e il suo vice Cecina, individuarono e si scontrarono con lo stesso generale di Teutoburgo, Arminio, e con gli stessi uomini, ottenendo una schiacciante vittoria ad Idistaviso e sul Vallo Angrivariano (16 d.C).

Lo spettro di una invasione germanica era stato scongiurato, ma ripartire con l’opera di romanizzazione della Germania venne considerato uno sforzo del tutto esagerato, e Tiberio preferì riportare il confine fra le due realtà, sul fiume Reno.

Si trattà di un limite naturale e politico che sarebbe durato per i successivi 400 anni.

Da questo momento, l’opinione comune tende a credere che i romani non si avventurarono più in Germania, disinteressati o addirittura impauriti.

Una convizione errata, di cui la battaglia di Harzhorn è un esempio straordinario.

La spedizione di Massimino il Trace in Germania

I romani compirono delle spedizioni in Germania per parecchi secoli successivamente a Teutoburgo. La motivazione era perlopiù di costringere delle intere tribù di giovani guerrieri ad entrare nell’impero e servire nell’esercito, o lavorare nei campi.

Sotto la dinastia Flavia, venne inoltre conquistata una nuova regione della Germania, gli Agri Decumates, che furono governati dai romani fino al loro spontaneo ritiro nel tardo impero.

Tra il 193 e il 235, Roma venne governata dalla dinastia degli imperatori soldato dei Severi, che assicurarono una certa stabilità.

Ma successivamente, una serie di fattori concomitanti aprirono la famosa “crisi del III secolo”, dove l’impero dovette fronteggiare problemi militari, economici e organizzativi piuttosto importanti.

In questo periodo, assunse la carica imperiale Massimino, un soldato della Tracia dalle origini piuttosto umili, ma che con la sua straordinaria possenza fisica e capacità militare, arrivò al comando dell’impero.

Nel 235 d.C, Massimino era in ricognizione nel profondo della Germania, assieme alle sue legioni, fra cui molto probabilmente la IIII Flavia Felix con le truppe ausiliarie.

Dopo aver compiuto un giro piuttosto lungo, toccando il fiume Elba, i legionari stavano rientrando verso Mogontiacum (l’attuale Magonza), per ricongiugersi con l’accampamento base, quando nei pressi delle colline di Harzhorn vennero bloccati da un ingente numero di guerrieri germanici.

Il campo di battaglia

La zona di Harzhorn era dominata da una serie di colline piuttosto ripide e scoscese e dunque difficilmente praticabili. L’unica via che permetteva di attraversarle da nord a sud era una antica strada, ora corrispondente all’autostrada Bundesautobahn 7 .

I guerrieri germanici tesero una imboscata ai legionari, che si ritrovarono da soli e senza possibilità di ottenere aiuti, e dovettero fronteggiare rapidamente il nemico germanico.

Purtroppo non disponiamo di fonti antiche che ci possano raccontare nel dettaglio la posizione degli schieramenti nè lo svolgimento preciso della battaglia.

Le uniche informazioni ci provengono dai ritrovamenti archeologici (per fortuna molto ben conservati) e dalle monete, che ci consentono di inquadrare storicamente la battaglia.

Quello che è certo è che le forze si equivalevano numericamente, che lo scontro fu duro e provocò perdite da entrambe le parti e che i germani disponevano di strumenti e di armature simili a quelle dei romani.

In più, i germani erano particolarmente abili nelle imboscate, il che conferì ai guerrieri del nord un iniziale vantaggio.

La battaglia di Harzhorn

Dai ritrovamenti gli studiosi sono riusciti ad evincere due fatti importanti. Il primo è che i romani guidati da Massimino riuscirono a compiere un attacco dai due lati, compiendo una specie di contro-imboscata, dimostrando un movimento tattico superiore e sfruttando al meglio il territorio a loro disposizione.

Il secondo è che i romani riuscirono certamente a prevalere grazie alla superiore artiglieria. In particolare gli strumenti che gli garantirono la vittoria furono due.

Lo scorpione: una struttura in legno che consentiva, tramite un sistema di corde e di gomene, di inserire una freccia o un piccolo giavellotto all’interno di un “corridoio di tiro” e di scagliare con incredibile violenza e gittata il dardo contro il nemico.

Un singolo tiro di scorpione era perfettamente in grado di impalare più uomini, anche se dotati di corazze e protezioni.

I romani prevalsero ad Harzhorn grazie alla superiore artiglieria, dallo Scorpione alle Cheiroballistra

La Cheiroballistra: una versione più leggera dello scorpione, realizzata meno in legno e con molte più parti metalliche. La gittata era superiore rispetto allo scorpione, ma soprattutto, la cheiroballistra era straordinariamente leggera e trasportabile, il che consentiva una agilità sul campo di battaglia che si dimostrò decisiva.

Dopo lo scontro, l’esercito di Massimino riuscì certamente a disimpegnarsi e a riprendere in sicurezza il percorso fino a Mogontiacum, ricongiungendosi con l’accampamento base.

La presenza Romana in Germania

Sempre più fonti e ritrovamenti, ci confermano come la presenza romana in Germania continuò anche molti secoli dopo Teutoburgo, ponendo il confine sul Reno non come un limite invalicabile per ragioni di impotenza militare, ma come un limite naturale oltre il quale i romani preferivano spingersi solo dietro una specifica necessità.

Lettera di un legionario romano alla famiglia

La lettera del legionario Asinio Polione è uno dei ritrovamenti archeologici più sensazionali e suggestivi dell’intera storia romana.

Si tratta di autentica lettera di un antico legionario romano che scrive a casa: un gesto meraviglioso, un atto molto personale e decisamente intimo, che dopo secoli possiamo riscoprire, per sentirci idealmente vicini a quel soldato.

Il luogo e il tempo della lettera

Aurelio Polione era un legionario, di giovane età, di stanza in Pannonia, una regione che corrisponde all’odierna Ungheria, una parte dell’Austria e della Croazia.

Si trattava di una regione molto importante per l’impero romano, una zona di confine. Il periodo in cui la lettera è stata redatta è molto probabilmente attorno al III secolo dopo Cristo.

Lo capiamo sia perché il nome Aurelio era molto diffuso durante quegli anni, sia perché l’organizzazione amministrativa della Pannonia, per come viene citata nella lettera, è molto probabilmente quella del III secolo.

E’ un periodo di crisi per l’impero romano: vi sono delle tensioni sociali importanti, l’esercito affronta dei momenti di grande difficoltà e in questo contesto, Aurelio Polione, solo e frustrato, scrive una lettera alla sua famiglia.

Si sente rifiutato, ha bisogno di avere aggiornamenti dai suoi cari e, come vedremo, ha degli importanti problemi con i suoi congiunti.

Nel suo nucleo familiare c’è qualcosa di irrisolto e questo giovane legionario sente il bisogno di scrivere una lettera nel tentativo accorato di riappacificarsi con i genitori e i fratelli.

La lettera deve raggiungere l’Egitto: deve fare tantissima strada per arrivare a destinazione e la missiva venne affidata al suo Centurione, perché venisse inoltrata quanto prima all’efficiente sistema di posta dell’antica Roma.

La scoperta e la traduzione

Nel 1899, proprio in Egitto, venne ritrovato un papiro contenente la lettera scritta da nostro legionario: la straordinaria possibilità di leggere le precise parole scritte da quel ragazzo.

Il testo è in greco, ma si tratta di un greco molto influenzato dal latino. Probabile quindi che gli ordini militari impartiti nella lingua originaria dei romani, abbiano influenzato lo stile di scrittura del legionario.

Possiamo capire abbastanza facilmente che il livello di istruzione del ragazzo fosse relativamente elevato.

La lettera non è completa in tutte le sue parti: purtroppo diverse parole o frasi sono saltate, per cui possiamo solo leggere nell’insieme per capire il senso generale del discorso.

Aurelio Polione

AURELIUS POLION, SOLDATO DELLA LEGIO II AUDITRIX, A SUO FRATELLO HERON, ALLA SORELLA PLOUTOU, ALLA MADRE SEINOUPHIS LA PANETTIERA E SIGNORA (?), TANTI CARI SALUTI.

PREGO GIORNO E NOTTE CHE VOI GODIATE DI BUONA SALUTE, E OMAGGIO SEMPRE TUTTI GLI DEI DA PARTE VOSTRA. IO NON SMETTO DI SCRIVERVI, MA VOI NON PENSATE MAI A ME.

MA IO FACCIO LA MIA PARTE SCRIVENDOVI SEMPRE E NON SMETTENDO MAI DI STARE VICINO A VOI CON LA MENTE E CON IL CUORE. EPPURE NON MI SCRIVETE MAI PER DIRMI DELLA VOSTRA SALUTE E DI COME VE LA CAVATE.

SONO PREOCCUPATO PER VOI, PERCHÉ SEBBENE RICEVIATE SPESSO LETTERE DA ME, NON AVETE MAI RISPOSTO, COSÌ NON POSSO SAPERE COME VOI …

MENTRE ERO IN PANNONIA VI HO SPEDITO (DELLE LETTERE), MA MI AVETE TRATTATO COME UN ESTRANEO … SONO PARTITO … E VOI SIETE FELICI CHE (?) … L’ESERCITO.  IO NON HO … VOI … PER L’ESERCITO, MA IO … SONO ANDATO VIA DA VOI.

VI HO MANDATO SEI LETTERE … PROVERÒ A OTTENERE UN PERMESSO DAL COMANDANTE E VERRÒ DA TE IN MODO CHE TU POSSA CAPIRE CHE SONO TUO FRATELLO…

HO CHIESTO (?) NIENTE A VOI PER L’ESERCITO, MA VI HO DELUSI PERCHÉ SEBBENE VI ABBIA SCRITTO, NESSUNO DI VOI (?) … HA CONSIDERAZIONE.
SENTITE, VOSTRO (?) VICINO … SONO TUO FRATELLO. ANCHE VOI, RISPONDETEMI … SCRIVETEMI. CHIUNQUE DI VOI …, INVIATE IL SUO … A ME.

SALUTATE MIO PADRE APHRODISIOS E MIO (?) ZIO (?) ATESIOS … SUA FIGLIA … SUO MARITO E ORSINOUPHIS E I FIGLI DELLA SORELLA DI SUA MADRE, XENPHON E OUENOPHIS CONOSCIUTO ANCHE COME PROTAS … GLI AURELII … LA LETTERA …

Non sappiamo, e non sapremo mai se la missiva raggiunse la sua destinazione, così come non ci sarà mai possibile capire se Aurelio trovò pace con i suoi cari.

Possiamo solo augurarglielo, per l’eternità.

La legione romana in Cina. L’enigma di Liqian

La legione romana in Cina è una interessante teoria avanzata nel 1955 dallo storico Homer Dubs: alcuni legionari romani sopravvissuti alla sconfitta di Carre, avrebbero fondato una città nel profondo della Cina, e alcuni abitanti di oggi, dai tratti misti occidentali, sarebbero i loro discendenti.

La missione di Crasso

La storia inizia nella tarda repubblica romana e dal personaggio di Marco Licinio Crasso.

Si tratta dell’uomo di gran lunga più ricco di Roma, ma anche di uno dei più potenti, grazie all’accordo privato con Pompeo Magno (adorato dall’esercito) e Giulio Cesare (astro nascente della politica romana), noto come “Primo triumvirato”.

I racconti delle conquiste di Cesare in Gallia, impressionano profondamente Crasso, che vuole avere la sua parte di gloria e decide di partire in missione per la Partia, una vasta e ricca zona che corrisponde all’attuale Iran-Iraq.

Un sogno per ogni romano: conquistare l’Oriente, come fece Alessandro Magno.

La spedizione però è fortemente ostacolata dai suoi nemici politici: il tribuno della Plebe Ateio riesce addirittura a farlo arrestare mentre sta uscendo da Roma vestito da generale.

Ma Crasso ha un potere ed una influenza spropositata, e riesce a liberarsi di lì a poco. Ad Ateio non rimane altro che maledirlo, e visto l’esito della missione di Crasso, i romani considereranno Ateio uno iettatore potentissimo, fino alla fine dei suoi giorni.

Crasso si dimostra un generale poco capace. I suoi discorsi alle truppe non hanno presa sugli uomini. Molto spesso è costretto ad aggiustare o ritrattare quello che dice, vedendo che i soldati sono perplessi o spaventati.

Non solo: i romani attribuivano una enorme importanza ai segnali premonitori e agli auspici. Tenendo in mano le viscere di un animale per predire l’esito della missione, Crasso si lascia scivolare le budella: un segnale più che nefasto.

Non mi sfuggirà la spada!” dice Crasso per cercare di “rattoppare” la situazione, ma l’esercito è già in preda ad un cattivissimo presentimento.

Crasso prosegue, convinto della sua missione: recluta soldati nel sud Italia e organizza delle navi per attraversare l’Adriatico e raggiungere i Balcani: da lì passerà per l’Anatolia (odierna Turchia).

Sceglie il momento sbagliato, e una parte della navi cola a picco: non tutti gli uomini arrivano dall’altra parte della costa. Non si tratta solo di sfortuna, ma proprio di incapacità.

I consiglieri di Crasso, tra cui Cassio, quello che anni dopo ucciderà Giulio Cesare, gli danno un consiglio tattico importantissimo.

E’ bene proseguire seguendo la costa, per sfruttare il costante rifornimento delle navi che supportano l’esercito. Ma Crasso fa di testa sua.

Sceglie di procedere all’interno del deserto, in linea retta, senza supporto e nel cuore del territorio nemico. Un errore madornale, a cui si aggiunge la sua scarsa capacità di valutare gli uomini.

Si fida ciecamente di Arimane, una guida araba, che lo accompagna con 6mila cavalieri: al momento buono, Arimane tradisce Crasso, si unisce all’avversario e abbandona il comandante romano al suo destino.

Inizia così, la battaglia di Carre.

La battaglia di Carre: 9 giugno 53 a.C

Crasso è in balìa dell’avversario. Il generale dei Parti, Surena, dà ordine ai suoi soldati di circondare i romani e bersagliarli con una quantità spropositata di frecce.

L’arco dei parti riesce a scagliare un dardo a 400 metri, contro i 100 dei romani. E’ un’arma di straordinaria potenza a cui i legionari non sanno resistere.

Per tutta risposta, Crasso fa disporre i suoi uomini a formazione quadrata, con gli scudi alzati a testuggine e gli dà ordine di aspettare. E aspetta decisamente troppo.

Diventati dei bersagli immobili, le frecce partiche massacrano i soldati, trasformando la battaglia in una orribile carneficina.

Il figlio di Crasso, Publio, si decide ad una manovra estrema. Con 1000 cavalieri, si getta contro gli arcieri per interrompere quel supplizio. Non faranno in tempo ad entrare in contatto con i nemici che le frecce li avranno già crivellati.

Crasso vede suo figlio, armi in pugno, circondato su una collinetta, morire eroico sul campo di battaglia.

Nei giorni successivi, allo sfortunato ed incapace generale romano, non rimane altra soluzione che barricarsi nel suo accampamento. Iniziano delle trattative con Surena: quest’ultimo si dimostra magnanimo, disposto a lasciarlo libero.

Crasso esce dall’accampamento, fidandosi della parola di Surena, che al momento buono, lo fa uccidere. I suoi soldati gli staccano la testa.

E’ una umiliante sconfitta.

A sopravvivere pochi uomini. Fra cui, una parte della disperata carica di Publio: sono ufficialmente dei prigionieri, trasferiti dai Parti più ad Oriente, in una zona che corrisponde all’attuale Turkmenistan, per lottare contro gli Unni.

E di loro, per diversi secoli, si perdono le tracce.

La conferenza di Homer Dubs

Le sorti di quei legionari romani si perdono nelle pieghe della storia, fino ad un anno preciso.

Nel 1955, Homer Dubs, uno storico specializzato in studi asiatici, organizza una conferenza dal titolo stranissimo: “I Legionari Romani in Cina“.

Dubs rivela di aver letto gli annali e i registri della dinastia di imperatori cinesi Han e che in questi resoconti era presente un episodio particolare.

Durante la battaglia per strappare ai generali della dinastia avversaria, quella Hun, la città di ZhiZhi, i soldati avevano creato una palizzata di tronchi appuntiti e conficcati nel terreno.

Inoltre per difendere le mura, gli uomini si erano disposti in una strana formazione detta a “spina di pesce“. Sia le palizzate che la disposizione dei soldati erano estranee al mondo cinese, mentre erano consuetudine dei romani.

Da qui la conclusione di Dubs: si trattava di quei legionari, eredi della tragica carica di Publio.

I legionari, sconfitti a ZhiZhi, sarebbero stati deportati dai Cinesi ancora più ad oriente, nella città di Liqian, con il compito di difendere i contadini dalle incursioni dei tibetani.

Gli indizi a favore della teoria

Possiamo credere ad una legione romana insediata nella città di Liqian?

A favore di questa tesi ci sono diversi indizi.

In primo luogo, il nome: Li-qian non è una parola cinese. E’ piuttosto strano che l’impero asiatico chiami una città con un nome straniero. Non solo: Liqian è il termine con cui la Cina identifica Roma, o al massimo la città di Alessandria: comunque, un luogo occidentale.

Inoltre, anche a livello onomatopeico, “Liqian” assomiglia a “Legione“, il che potrebbe provare una origine romana del luogo.

Secondo: alcuni scavi archeologici svolti nel 1993, hanno portato alla luce in quella piccola città, dei resti di pali appuntiti. Di nuovo, una tecnica di costruzione del tutto estranea al mondo cinese, e invece normale per i romani.

C’è poi nella zona una insolita passione per la tauromachia, la lotta contro i tori, praticata come “sport estremo”. Si tratta nuovamente di una tradizione tipica per l’impero romano, e invece del tutto anomala per la Cina.

Infine, i tratti somatici. Come testimoniano le foto, gli abitanti di Liqian hanno capelli biondi, occhi azzurri, e caratteristiche stranamente occidentali, di tipo caucasico. Solo loro, in tutta la Cina.

Sono indizi concreti, che confermano buona parte di quanto affermato da Dubs nel 1955.

Gli indizi contrari

Le autorità cinesi, tuttavia, esprimono perplessità, e diversi esperti si sono sforzati di smentire la leggenda.

Innanzitutto, Liqian sorge in una zona abbastanza vicina alla famosa via della seta, dove uomini di diverse etnie hanno girovagato per secoli. Non è detto che le anormalità genetiche siano collegate ai romani.

Inoltre, secondo Yang Gongle, professore della Beijing Normal University , Liqian sarebbe stata fondata nel 104 a.C, ovvero diversi anni prima della battaglia di Carre, il che escluderebbe la fondazione da parte di eredi dei romani.

Le prove del DNA finora raccolte sono ancora discutibili e non danno una riposta definitiva, tenuto conto che l’esercito romano era di per se stesso piuttosto variegato a livello etnico.

Il risultato è che la legione romana in Cina si appresta ad essere probabilmente uno di quegli enigmi che non avranno mai una risposta certa.

Dobbiamo considerare anche il fatto che il Governo Cinese, fortemente nazionalista, è abbastanza prevenuto sull’argomento e non ama che i suoi cittadini siano fieri di discendere da un impero straniero.

Quello che è certo è che nella cittadina di Liqian, oggi, parecchi rievocatori cinesi si vestono da romani, sono fieri di portare il gladio e si proclamano, a metà tra il serio e il faceto, eredi dei gloriosi legionari.

A prova del fatto che, in un modo o nell’altro, Roma ha lasciato il segno anche qui.

L’imperatore Maggioriano. L’ultimo eroe di una Roma che cade

Giulio Valerio Maggioriano, (420 d.C – 461 d.C) fu probabilmente l’ultimo grande imperatore dell’Impero Romano d’Occidente, prima della sua caduta.

Autore della difesa dell’Italia, riconquista delle Gallie e della Spagna ai danni dei Visigoti, si avvicinò a sconfiggere il regno dei Vandali di Genserìco nel Nord Africa, ed attua delle importanti riforme per rendere più giuste ed eque le tasse della società romana.

Venne infine tradito e ucciso dal generale barbaro Ricimero, prima di poter completare la sua opera

La crescita come generale e l’elezione ad imperatore

Maggioriano fa parte dell’alta aristocrazia militare: il nonno, omonimo, era il Magister Equitum, capo della cavalleria, e braccio destro dell’imperatore Teodosio I. La sua giovinezza passò così attraverso una rigida ed efficace educazione strategica e militare.

Le sue prime missioni furono sotto il comando del generale Flavio Ezio, colui che sconfiggerà Attila ai campi Catalaunici, assieme al suo compagno e amico di origine barbarica Ricimero.

Maggioriano sviluppa così una grande esperienza sui campi di battaglia e diventa rapidamente uno dei più valenti generali dell’Impero Romano d’Occidente.

Ad un certo punto della sua sfolgorante carriera, l’imperatore in carica Valentiniano III, che soffriva dell’influenza del generale Ezio, pensò addirittura di darlo in moglie alla sua unica figlia, per avere un uomo capace di muoversi sui campi di battaglia che sarebbe stato dalla sua parte.

Ezio, fiutando il pericolo, stroncò la carriera militare di Maggioriano, che dovette temporaneamente uscire di scena.

La situazione ebbe tuttavia un rapido cambiamento quando Valentiniano III, descritto generalmente come un codardo e inetto sui campi di battaglia, sfoderò la spada per uccidere Ezio, privando l’impero dell’unico generale in grado di proteggerlo militarmente.

Una frase che circolò presso gli storici del tempo recita:

“Uccidendo Ezio, Valentiniano III tagliò con il suo braccio sinistro il suo braccio destro”

L’azione di Valentiniano, tuttavia riportò in auge Maggioriano, il quale potè riprendere la sua carriera militare assieme a Ricimero.

I due più valenti generali dell’impero d’Occidente furono responsabili dapprima della nomina dell’imperatore Avito e di lì a poco della sua caduta, data l’incapacità di quest’ultimo di mediare tra le esigenze del Senato e dei militari.

L’impero d’occidente necessitava così di un nuovo imperatore e la persona più titolata a poterlo nominare era l’imperatore romano d’Oriente, in quel periodo Leone I.

Egli si rendeva perfettamente conto che i due nomi più adatti erano quelli di Maggioriano e di Ricimero, ma il primo, di origine più nobile e romana, era più adatto a ricoprire la carica.

Ricimero si “accontentò” così di fargli da Magister Equitum, ritenendo comunque di poter avere una ottima influenza sulle decisioni del compagno.

La difesa dell’Italia dai barbari Vandali

Nell’estate del 458 d.C un contingente di Vandali e Mauri attaccò l’Italia via mare: sbarcò in Campania e causò delle importanti devastazioni.

Maggioriano, con il suo esercito composto da diverse tribù barbare alleate di Roma, dovette intervenire personalmente. Ottenne abbastanza rapidamente una importante vittoria, riuscendo a salvare la penisola dall’invasione.

Tuttavia, nonostante quel successo militare, era necessario che la penisola italiana avesse le risorse per poter difendere sia le sue città che le coste.

Per questo motivo, Maggioriano stabilì un nuovo esercito a difesa dell’Italia composto da una serie di tribù barbare alleate con la qualifica di “Foederati” di Roma: Gepidi, Ostrogoti, Rugi, Burgundi, Unni, Bastarni, Suebi, Sciti e Alani.

Ma non solo: i Vandali erano dotati di una forza navale non indifferente e per questo ebbe l’accortezza di creare una nuova flotta a difesa della penisola, puntando sulle antiche scuole marinare di Miseno e Ravenna.

Inoltre promulgò una legge che consentì ad ogni cittadino romano di essere armato. Questo provvedimento, è una sorta di “recupero” di antiche tradizioni romane, per le quali il cittadino era anche un soldato, pronto a prendere le armi per difendere la sua terra.

In questo modo, in caso di pericolo, la penisola italiana sarebbe stata in grado di reclutare con relativa facilità un grande numero di uomini da impiegare nell’esercito.

La conquista delle Gallie

Un secondo importante obiettivo per Maggioriano era conquistare le Gallie.

Si trattava di una zona fortemente strategica che in realtà non riconosceva Maggioriano come nuovo imperatore.

Testimonianza di ciò, il fatto che la nobiltà gallo-romana, anche nelle iscrizioni del tempo, non citava il suo nome come punto di riferimento per l’intero occidente, riconoscendo solamente l’imperatore d’Oriente.

Si trattava di un grave pericolo per il suo potere e per la stabilità del sistema che voleva ricostituire.

Dopo un primo intervento del suo comandante Egidio, che finì assediato dai Visigoti, lasciò, con una buona dose di fiducia, Ricimero a gestire la situazione nella penisola italica.

Maggioriano si mosse personalmente con un esercito composto da diverse tribù verso le Gallie e attaccò direttamente i Visigoti.

Non ci furono grandi battaglie campali che risolsero la situazione, come siamo abituati a vedere nella Repubblica o nell’Alto Impero romano, ma una serie di interventi per assediare o liberare dagli assedi delle città strategiche.

In questo modo, Maggioriano si garantì un controllo militare sulle Gallie in un tempo relativamente breve, nominando Egidio governatore.

Ma non pensiamo a Maggioriano solo come ad un generale. Allo stesso tempo, egli ebbe l’accortezza di instaurare delle relazioni diplomatiche soprattutto con i grandi principi guerrieri gallici, con l’obiettivo che anche a quest’ultimi interessasse la posizione di forza e la garanzia offerta dal suo ruolo di Imperatore.

Un misto fra intervento militare e lavoro di diplomazia, che gli consentì di mettere in sicurezza il territorio, e rivolgere quanto prima la sua attenzione ad un’altra importante provincia, che andava rapidamente riconquistata.

La riconquista della Spagna

Un’altra provincia di importanza fondamentale era quella di Spagna, conquistata dai Visigoti approfittando del Sacco di Roma e del momento di debolezza dell’autorità centrale.

Maggioriano aveva bisogno di riprenderne il controllo anche per sferrare l’attacco contro i Vandali del Nord Africa.

Appunto per questo motivo, ricostituì nuovamente un esercito che dalla Liguria si mosse attraverso l’Aquitania, che corrisponde ad un tratto dell’odierna Francia del sud, e attaccò la Spagna.

Maggioriano ebbe l’accortezza di dividere il suo esercito secondo due linee di attacco: la prima verso le coste Mediterranee della Spagna e la seconda verso l’attuale Portogallo del Nord.

In questo modo, con una sapiente gestione dell’esercito e delle rotte di attacco, riuscì a prendere di sorpresa i Visigoti e infliggergli una serie di sconfitte riportando la provincia sotto il controllo Romano.

Genserìco, il re dei Vandali che avevano costituito un regno nel nordafrica dopo il sacco di Roma, si accorse della straordinaria efficacia e velocità di Maggioriano.

In un primo momento gli offrì una pace. Ma Maggioriano la rifiutò nettamente, organizzando invece il suo esercito per attaccare il regno dei vandali e mettere definitivamente in sicurezza quello che nei suoi piani doveva essere il ricostituito Impero romano d’Occidente.

La fallita conquista del regno Vandalo

Maggioriano, nell’affrontare i Vandali di Genserìco, dimostrò un sapiente uso delle informazioni e di quella che potremmo definire l’intelligence del tempo.

Secondo Procopio di Cesarea tinse i suoi proverbiali capelli biondi per impersonare un ambasciatore, e si recò direttamente da Genserìco per raccogliere informazioni sul nemico.

Non sappiamo esattamente se questo episodio sia avvenuto, ma certamente è significativo di una grande raccolta di informazioni che Maggioriano operò per comprendere le capacità militari dei Vandali e le loro tattiche.

Quando si sentì pronto a sferrare un primo attacco, nonostante i Vandali avessero cominciato a distruggere le riserve di grano in Mauretania per rendere meno appetibile la terra, accadde l’imprevisto.

La testa di ponte del suo esercito era costituita da una possente flotta al largo delle isole spagnole, ma per via del tradimento di alcuni soldati, i Vandali riuscirono ad individuarla, ad incendiarla e a rendere inutilizzabili tutte le navi, privando Maggiorano della principale forza militare con cui avrebbe dovuto attaccare.

I rischi superavano di gran lunga le possibilità di vittoria, e Maggioriano dovette, suo malgrado, rinunciare all’attacco contro il regno dei vandali.

La tentata riforma della tassazione

L’attività di Maggioriano non si concentra solamente sulla riconquista dei territori dell’Impero Romano d’Occidente e sulla sconfitta dei tradizionali nemici del suo tempo, ma anche su un grandioso tentativo di ricostituzione della società romana.

Maggioriano si rese conto che uno dei principali errori dei suoi predecessori, come per esempio Avito, era stato quello di non creare dei buoni rapporti con il Senato.

Per questo una delle priorità di Maggioriano era portare il Senato, ormai composto da gallo-romani, dalla propria parte.

Il problema era che i senatori erano ormai dediti ad ogni tipo di furto e di mancato pagamento delle tasse, e le imposte venivano quindi scaricate direttamente sulla società civile.

In particolare erano i privati cittadini, i proprietari terrieri e anche gli esattori delle tasse a pagare. Secondo la legge romana, gli esattori delle tasse dovevano anticipare le imposte allo Stato e si potevano rivalere liberamente sui cittadini.

Nel caso in cui non fossero stati in grado di farlo, sarebbero finiti in rovina.

Maggioriano doveva quindi limitare i privilegi dei senatori senza metterseli contro e riavviare il processo di tassazione in maniera più equa.

Per farlo iniziò a stabilire delle relazioni diplomatiche concedendo dei favori ai principali senatori e capifazione gallo-romani e tessendo una lenta e paziente attività di costituzione di buoni rapporti con il Senato.

Per quanto riguarda la tassazione, Maggioriano si rese conto che la stragrande maggioranza dei cittadini aveva un debito con lo Stato talmente elevato che non sarebbe mai riuscito ad appianare la propria situazione fiscale.

Per questo motivo operò un grande condono nei confronti dei contribuenti indebitati permettendogli di ripartire con una certa serenità.

Allo stesso modo, dall’altra parte, elaborò una serie di controlli che dovevano permettere una riscossione delle tasse più giusta. Mise dei limiti a quello che gli esattori potevano chiedere, impedì per certi versi l’esproprio delle terre e ricostituì alcune figure a protezione dei soprusi nei confronti dei cittadini.

Secondo la visione di Maggioriano, queste norme avrebbero avuto l’effetto di far ripartire una regolare tassazione in modo da rimpinguare le casse dello Stato e riavviare la macchina dell’impero.

Il tradimento di Ricimero e la morte

Purtroppo il progetto di Maggioriano era destinato ad essere spezzato.

Le riforme che stava attuando non potevano, pur con tutta la prudenza possibile, che andare a infrangersi contro i privilegi della casta più ricca.

Sin dal suo allontanamento dalla penisola italica per attaccare le Gallie, Ricimero era rimasto in Italia e aveva coalizzato attorno a sè tutti coloro che non ritenevano Maggioriano il legittimo imperatore.

A questi si erano evidentemente aggiunti tutti coloro che non volevano vedere toccati i propri privilegi. Il che costituì un grosso fronte avverso a Maggioriano.

Approfittando del fallimento dell’offensiva in Nord Africa contro i Vandali, e del fatto che Maggioriano aveva dovuto congedare il grosso dell’esercito in quanto non poteva pagare i soldati, Ricimero portò a termine il suo tradimento.

Maggioriano si era fermato ad Arelate, nel sud della Francia, e si stava dirigendo verso Roma per una serie di riforme.

Intercettato a Tortona, nei pressi di Piacenza, con la sua sola guardia personale, Ricimero lo arrestò, lo spogliò della porpora imperiale, lo torturò e dopo qualche giorno lo fece decapitare.

Ricimero fu straordinariamente duro nei confronti del suo ex commilitone e compagno, in quanto non gli concesse, secondo alcune fonti, nemmeno l’onore di una degna sepoltura.

Scomparve dunque l’ultimo grande imperatore d’Occidente, un generale, un riformatore e uno statista. Uomo stritolato dalla corruzione e dal totale disfacimento della società dei suoi tempi.

Tutti gli storici, tributano a Maggioriano grande ammirazione, vedendolo come un ultimo disperato tentativo di un imperatore onesto, di recuperare la grande storia di Roma.

Tra questi Edward Gibbon

«[La figura di Maggioriano] presenta la gradita scoperta di un grande ed eroico personaggio, quali talvolta appaiono, nelle epoche degenerate, per vendicare l’onore della specie umana. […] Le leggi di Maggioriano rivelano il desiderio di fornire rimedi ponderati ed efficaci al disordine della vita pubblica; le sue imprese militari gettano l’ultima effusione di gloria sulle declinanti fortune dei Romani.»

La battaglia di Watling Street. Boudicca sfida l’impero romano

La battaglia di Watling Street è un importante scontro avvenuto fra i romani , guidati dal generale Svetonio Paolino e la Regina della tribù degli Iceni, Boudicca, lungo la strada romana che tagliava quasi completamente la Britannia nel primo secolo d.C.

Fu uno scontro sensazionale, dove i romani, in netta inferiorità numerica, sfruttarono al meglio gli elementi naturali del campo di battaglia e le tattiche proprie delle legioni, riuscendo a sbaragliare un esercito nettamente più numeroso.

L’antefatto: i romani in Britannia

Fu l’imperatore Claudio ad ordinare la conquista della Britannia. Nel 43 d.C le legioni sbarcarono sulle coste britanne e si trovarono di fronte una moltitudine di diverse tribù, che anzichè coalizzarsi per respingere l’invasore, soffrirono di gravi divisioni interne.

La tribù degli Iceni, ad esempio, fu da subito disposta a collaborare con i romani. In cambio di un tributo regolare a Roma, gli Iceni ottennero senza particolari problemi una certa indipendenza e libertà di autogestione.

Altri, come i Catuvellauni, furono invece strenui oppositori dei nuovi arrivati. Alcuni comandanti come Calgaco e Carataco, rimangono nella storia come simbolo della resistenza dei britanni contro l’impero.

I romani, guidati dal governatore e generale Gaio Svetonio Paolino, imposero delle condizioni particolarmente dure ai barbari, che vennero trattati con crudeltà, molte volte, e costretti ad arruolarsi nell’esercito per servire nel gigantesco ingranaggio della macchina bellica romana.

Gli Iceni, il Re Prasutago e la Regina Boudicca

Il punto più tragico della dominazione romana in Britannia coinvolse proprio la tribù degli Iceni, che si erano dimostrati i più collaborativi con la potenza di Roma.

Il Re Prasutago regnava con relativa tranquillità, in pieno accordo con Roma. Poco prima della sua morte, il sovrano si trovò a dover redigere il proprio testamento.

Gli accordi prevedevano che il Regno sarebbe stato lasciato in eredità all’imperatore Nerone, che nel frattempo era succeduto a Claudio, così che Roma diventasse anche legalmente la proprietaria del territorio.

Invece, Prasutago lasciò metà del regno a Nerone, come nei patti, e l’altra metà, inaspettatamente, alla moglie Boudicca e alle sue due figlie. Questa azione, in realtà, non intendeva probabilmente sfidare l’autorità di Roma, ma assicurarsi protezione per la sua famiglia e il mantenimento della leadership sulla sua gente.

La reazione, però, fu di grande violenza. La legge romana non prevedeva nessuna possibilità per una donna di guidare un qualsiasi regno, per cui il testamento non solo venne del tutto ignorato, ma i soldati raggiunsero Boudicca, la arrestarono e la flagellarono.

Tenendola ferma, altri commilitoni stuprarono spietatamente le due figlie per ore, lasciando le tre donne nella disperazione.

La rivolta di Boudicca: la distruzione delle città romane

Le violenze contro Boudicca, che possono essere considerate il “simbolo” della spietata dominazione romana in Britannia, scatenarono nella fiera regina la volontà di ribellarsi.

La donna si rivelò una astuta capopolo: in poco tempo l’intera tribù degli Iceni, assieme a quella dei Trinovanti, si sollevarono contro Roma.

Boudicca pensò di attaccare innanzitutto la città di Camulodunum, l’odierna Colchester. Approfittando del fatto che Svetonio Paolino era impegnato con il grosso dell’esercito presso la città di Mona, per attaccare i capi religiosi britanni, i druidi, Boudicca rase al suolo la città.

Le devastazioni furono complete e la rabbia dei britanni si abbattè contro chiunque in città: uomini e ragazzi, donne e bambini.

«La crudeltà più atroce inflitta dai Britanni ai Romani fu questa. Spogliarono le nobildonne della città e le legarono, poi tagliarono loro i seni e li cucirono alle loro bocche, in modo che sembrasse che li stessero mangiando. Poi impalarono le donne attraverso tutto il corpo.»

Cassio Dione, Storia romana, LXII, 7

2.500 soldati della Legio IX Hispana inviati in soccorso della città, vennero brutalmente massacrati e sconfitti dall’orda barbarica ormai senza controllo.

Paolino poteva fare ben poco: i soldati erano troppo pochi e il tempo per riorganizzarsi estremamente scarso.

Le città di Londinium e Verulamium (St Albans), furono evacuate da alcune migliaia di profughi per ordine dello stesso Paolino, prima che l’esercito di Boudicca si abbattesse con estrema violenza anche su questi centri abitati, che conobbero una furia estrema.

La battaglia di Watling Street: la disposizione iniziale

Svetonio Paolino riuscì a reclutare con tutte le forze a disposizione un esercito di 13mila soldati. Erano decisamente pochi, ma non vi era altra possibilità e qualsiasi rinforzo da Roma avrebbe impiegato settimane per arrivare.

Non aveva altra scelta che affrontare, sebbene in svantaggio, l’armata di Boudicca, che contava perlomeno su 40mila guerrieri.

In un punto non ancora identificato sulla Watling Street, Paolino doveva affrontare Boudicca.

Il suo più importante problema era la disposizione della fanteria. Se avesse creato una linea di legionari con una estensione pari a quella dell’avversario, questa sarebbe stata troppo sottile e passibile di essere bucata.

Una disposizione più concentrata, quasi a quadrato, sarebbe stata facilmente accerchiata e distrutta dal soverchiante numero di uomini avversari.

Per questo Paolino cercò di equilibrare l’inferiorità numerica con una saggia scelta del campo di battaglia. Alcune piccole colline, ma abbastanza scoscese, sui lati e sul retro avrebbero impedito l’accerchiamento, convogliando il nemico solo sul fronte.

Paolino posizionò i legionari, accompagnati da due gruppi di mercenari germanici di fanteria leggera sui lati, e due contingenti di cavalleria nascosti fra le colline per sbucare al momento più opportuno sui rispettivi fianchi dell’avversario.

Boudicca, invece, non concepì alcun piano particolare. Convinta che Paolino si fosse imbucato in una vera e propria trappola, posizionò i suoi soldati al centro pronti a massacrare i romani.

Addirittura, le famiglie dei guerrieri si disposero con i loro carri a semicerchio, dietro il campo di battaglia, per assistere allo “spettacolo”.

Dopodichè, al comando di Boudicca, la battaglia ebbe inizio.

La Battaglia di Watling Street: lo scontro

La prima mossa toccò a Boudicca, che pensò di spezzare la fanteria romana lanciando contro le file dei legionari dei carri pesanti.

Per fortuna, non si trattava di carri da guerra appositamente concepiti per sventrare gli avversari, quanto piuttosto dei carri da trasporto che vennero gestiti e neutralizzati abbastanza facilmente dai soldati romani.

La seconda mossa fu invece appannaggio di Paolino. Per fortuna le Legioni potevano contare su una importante artiglieria. Frecce, due giavellotti per ogni soldato e diversi scorpioni, degli strumenti portatili che potevano scagliare dei giavellotti a grandi distanze.

L’esercito di Boudicca, ripetutamente bersagliato dalle frecce romane, venne pesantemente decimato e indebolito, mentre la confusione iniziava ad aumentare sul campo di battaglia.

Al momento del contatto tra le due fanteria, Paolino diede ordine ai legionari di posizionarsi a triangolo. Si trattava di una formazione adatta a “bucare” le file avversarie e penetrare rapidamente in mezzo ai soldati nemici.

In questo modo, dopo ore di combattimento, i guerrieri di Boudicca iniziarono a confondersi e a retrocedere.

Gli elementi che davvero fecero svoltare la situazione a favore dei romani furono tre:

  • La formazione a triangolo che si infilò nelle zone più deboli del fronte britanno
  • L’armamento romano più adatto al combattimento ravvicinato al contrario della grandi spade britanne che necessitavano di almeno due metri di spazio per essere utilizzate
  • Il ricambio dei soldati (la mutatio), che ottimizzò le forze dei legionari

Quando i britanni iniziarono a dare segni di cedimento, al momento opportuno, l’intervento degli ausiliari germanici e le cavallerie nascoste, fu risolutivo. Circondati anche dai lati e sul retro, i soldati di Boudicca persero completamente il controllo.

Il grande numero dei guerrieri barbari si trasformò così in uno svantaggio. Gli uomini iniziarono ad accavallarsi uno sull’altro e il panico trasformò l’orda barbarica in una folla disperata che cercò in ogni modo di scappare.

A questo punto, con tragica ironia, il semicerchio di carri posizionato dalle famiglie britanniche per assaporare la vittoria, diventò un ostacolo alla fuga dei guerrieri, che non ebbero letteralmente scampo e vennero crudelmente falcidiati dai legionari di Svetonio Paolino.

La fine di Boudicca e della rivolta britanna

Boudicca morì con onore sul campo di battaglia. Secondo altre fonti, fu ferita gravemente e spirò dopo pochi giorni per infezione.

Comunque sia andata, la devastante sconfitta sulla Watling Street pose fine ad ogni velleità britanna di respingere l’invasore romano.

Svetonio Paolino non perse tempo: i sottomessi ottennero condizioni ancora più dure delle precedenti, alle quali si aggiunsero delle ripetute spedizioni punitive nel cuore dei loro territori.

Nonostante la vittoria, tuttavia, la situazione politica cambiò. L’imperatore Nerone, che si trovava ancora nei primi anni “illuminati” del suo regno, considerò il comportamento di Paolino incompatibile con la pace.

Nerone capì che finchè i britanni sarebbero stati trattati in questo modo, la provincia non sarebbe mai stata pacificata. Per questo, Paolino, pur con tutti gli onori militari per la sua vittoria, venne sostituito da Publio Petronio Turpiliano, che avviò immediatamente una politica più tollerante e rispettosa nei confronti delle tribù.

La Britannia, nella sua parte meridionale, rimase così saldamente sotto il controllo romano che, oltre ad aver vinto militarmente gli avversari, era riuscito a ricalibrare le proprie forze, creando una convivenza e poi una assimilazione sociale vincente.