Marco Licinio Crasso. Vita dell’uomo più ricco di Roma

Marco Licinio Crasso è stato un politico, generale e aristocratico della Repubblica romana, tra gli uomini più influenti del periodo tardo repubblicano e uno degli più ricchi di tutta la storia antica.

Iniziò la sua carriera pubblica servendo come comandante militare sotto Lucio Cornelio Silla durante la guerra civile.

Una volta assunta la carica di dittatore, Silla emanò una serie di liste di proscrizione che permettevano di sequestrare tutti i beni dei nemici politici, e fu proprio sfruttando questa situazione che Crasso fu un grado di accumulare una enorme fortuna, che divenne ancora più ingente grazie ad una speculazione immobiliare su vasta scala.

Dopo aver fronteggiato la rivolta degli schiavi guidata da Spartaco, arrivò al consolato della Repubblica romana assieme al suo principale rivale, Pompeo Magno.

Dopodiché, Crasso divenne patrono politico e finanziario di Giulio Cesare, nuova promessa della politica romana, e strinse assieme a lui e a Pompeo un accordo privato noto come “Primo triumvirato “.

Grazie a questa alleanza, Crasso, Cesare e Pompeo dominarono la repubblica romana, ma il patto degenerò dopo alcuni anni: Cesare acquistò notevole successo militare e una straordinaria ricchezza dopo la conquista delle Gallie, mentre Pompeo venne avvicinato dal Senato affinché difendesse la causa degli aristocratici.

Letteralmente invidioso dei successi politici e militari di Cesare e di Pompeo, Crasso pretese il comando di una spedizione contro la popolazione orientale dei Parti: nominato governatore della Siria romana, Crasso portò avanti una campagna fallimentare, che si concluse con una devastante sconfitta a Carre e la sua morte sul campo di battaglia.

La morte di Crasso significò automaticamente la fine dell’alleanza tra Cesare e Pompeo: senza la sua mediazione, le posizioni dei due divennero del tutto inconciliabili, e la situazione sfociò in una guerra civile, scatenata dal celebre attraversamento del fiume Rubicone da parte delle truppe di Cesare, atto che segna ufficialmente l’inizio della guerra civile.

La famiglia, la gioventù e la guerra civile di Marco Licinio Crasso

Marco Licinio Crasso era membro della gens Licinia, una famiglia di origine plebea che aveva conquistato notevole influenza politica nel corso del tempo. Il padre, Publio Licinio Crasso,  fu console nel 97 a.C e censore nel 89 a.C, e il fratello maggiore, Publio, nato nel 116 a.C, morì poco prima dello scoppio della guerra sociale.

Crasso aveva anche un fratello minore, che morì assieme a Publio Licinio Crasso, il padre, nell’inverno dell’87 a.C, quando furono braccati dai sostenitori del generale Gaio Mario, il leader della fazione dei Populares.

La vita di Crasso iniziò in una situazione di strapotere dei suoi nemici politici: Roma era sotto il controllo del generale Gaio Mario, leader della fazione avversa dei Populares, e del suo collega Lucio Cornelio Cinna.  I due imposero una serie di proscrizioni a tutti i senatori e cavalieri romani che avevano sostenuto il rappresentante degli aristocratici, Lucio Cornelio Silla, nel corso della guerra civile.

Nonostante l’improvvisa morte di Caio Mario, Cinna continuò a perseguitare gli avversari politici, il che costrinse Crasso a fuggire in Spagna dall’87 all’84 a.C, dove reclutò 2500 uomini per estorcere del denaro alle città locali e finanziare un proprio esercito privato.

Dopo aver saputo della morte di Cinna e della ripresa della guerra civile fra “sillani” e “mariani”, nell’84 a.C, Crasso si recò nella provincia romana d’Africa, con l’intento di unire le sue forze con quelle del generale Metello Pio, uno dei principali alleati di Cornelio Silla, ma il loro rapporto non funzionò.

Per questo scelse di imbarcare il suo esercito in mare, sbarcando in Grecia e unendosi direttamente agli uomini di Silla, che lo considerava uno dei suoi alleati migliori.

Crasso, assieme a Gneo Pompeo, combattè la battaglia della Piana di Spoleto, dove sconfisse il generale mariano Papirio Carbone.

Durante lo scontro decisivo fra sillani e mariani, la battaglia di Porta collina, Crasso comandava il fianco destro dell’esercito di Silla. Dopo quasi un giorno di combattimento, la battaglia stava volgendo negativamente per Silla, dal momento che il centro del suo esercito era sull’orlo del collasso.

Crasso, al contrario, era riuscito ad annientare il nemico davanti a lui e aveva inviato un messaggio a Silla, offrendo il supporto dei suoi uomini. Silla gli comandò di avanzare direttamente contro il centro dell’esercito nemico e utilizzò la notizia dell’arrivo degli uomini di Crasso per ridare coraggio alle sue truppe. 

La mattina seguente, la battaglia terminò in deciso favore dei sillani, il che fece di Silla il signore assoluto di Roma e di Crasso uno degli uomini chiave del nuovo sistema di potere.

La scalata alla ricchezza di Marco Licinio Crasso

Terminata la guerra civile, il primo obiettivo di Marco Licinio Crasso fu quello di ricostruire la fortuna della sua famiglia, che era stata notevolmente ridimensionata dalle multe di Gaio Mario e Cinna.

Silla aveva ideato un sistema di proscrizioni: si trattava di alcune liste di nemici politici che potevano essere uccisi senza subire conseguenze legali e i cui beni potevano essere confiscati.

Crasso fu uno dei più grandi acquirenti delle proprietà sequestrate ai proscritti.

La ricchezza di Crasso raggiunse, secondo Plinio, i 200 milioni di sesterzi, tra denaro contante, ville, terreni e altri beni immobili.

Plutarco, nella sua “Vita di Crasso “, afferma invece che la ricchezza di Crasso aumentò in questo periodo da meno di 300 talenti fino a 7.100 talenti, ovvero 229 tonnellate d’oro, per un valore odierno che si aggirerebbe attorno ai 13,3 miliardi di euro.

Un’altra importante fonte di guadagno per Crasso era quella di acquisire a poco prezzo degli edifici bruciati e crollati, a volte per scarsa manutenzione, a volte per mandato di alcuni piromani ai suoi ordini. 

Plutarco narra che Crasso aveva creato un piccolo esercito di 500 schiavi, che formalmente fungevano da vigili del fuoco, con il compito di incendiare le case più povere e richiedere ai loro proprietari di vendergliele ad un prezzo irrisorio. Se i proprietari avessero accettato la proposta, questi avrebbero immediatamente spento il fuoco ed eseguito il pagamento, mentre in caso contrario avrebbero lasciato bruciare il palazzo.

In questo modo, Crasso fu grado di comprare la maggior parte di Roma, utilizzando gli schiavi stessi per ricostruire i palazzi che aveva appena acquistato.

Parte della ricchezza di Crasso venne accumulata anche tramite attività legali, come il traffico degli schiavi e l’estrazione dell’argento dalle miniere.

Ad un certo punto della sua scalata alla ricchezza, Crasso aveva deciso di acquisire la proprietà di una meravigliosa villa che apparteneva ad una sacerdotessa Vestale, Licinia.  

Dal momento che le vestali non potevano avere rapporti sessuali, Crasso cominciò a corteggiare la sacerdotessa fino a che l’opinione pubblica non iniziò a pensare che questa avesse violato la prescrizione di rimanere vergine. Per aggravare la situazione, un magistrato evidentemente legato a Crasso, Plozio, indagò formalmente Licinia.

In questo modo, Crasso costrinse Licinia a vendergli la sua villa per ritirare le accuse.

Dopo aver accumulato una fortuna sconsiderata, Crasso iniziò a dedicarsi alla carriera politica. Il suo futuro pareva assicurato: era l’uomo più ricco di Roma, aveva un rapporto privilegiato con il dittatore Silla e la sua famiglia aveva ricoperto in passato magistrature importanti come quelle di console e pretore.

Ad ostacolare i suoi piani vi fu però l’ascesa del suo contemporaneo Pompeo Magno, generale che aveva mietuto diverse vittorie e che era diventato l’assoluto beniamino del popolo romano. 

La guerra di Crasso contro Spartaco

Crasso viene eletto pretore nel 73 a.C, ma il suo impegno assunse immediatamente un carattere militare nel contrastare la terza guerra servile (73 – 71 a.C.) guidata da Spartaco. Spartaco era un gladiatore della scuola di Capua che era diventato il capo di una rivolta su vasta scala che minacciava la sicurezza della Repubblica romana.

Crasso si offrì di equipaggiare a proprie spese le legioni che erano state sconfitte e promise di condurle alla vittoria. Inizialmente Crasso, che non era un generale illuminato, fece fatica a comprendere le mosse degli uomini di Spartaco e i suoi soldati iniziarono a disobbedire ai suoi ordini.

Fu in questa situazione che Crasso utilizzò una pratica estremamente crudele nota come “Decimazione“, ovvero l’esecuzione di un legionario ogni dieci, scelto per estrazione a sorte. Si trattava di una punizione estrema che da diverse decine di anni non era più praticata.

Seppure alcuni autori antichi, come Plutarco, condannano il gesto di Crasso, altri, come Appiano, confermano che la durissima punizione ebbe l’effetto di ricondurre gli uomini alla ragione. Come scrive Appiano “I legionari avevano più paura di deludere il loro generale che di affrontare il nemico.”

Dopo un vero e proprio inseguimento per tutta l’Italia, Spartaco si ritirò con i suoi soldati nel sud ovest della penisola: Crasso cercò di bloccare l’esercito avversario costruendo un enorme fossato e un bastione di grandissime dimensioni, attivando migliaia e migliaia di legionari nell’impresa. 

Nonostante questo enorme dispiegamento di forze, Spartaco, con una parte consistente del suo esercito, riuscì comunque a fuggire.

I suoi movimenti erano tuttavia bloccati: in aiuto di Crasso stavano arrivando degli altri eserciti al comando dei generali Varrone Lucullo e Gneo Pompeo. Spartaco decise quindi di combattere piuttosto che dover affrontare tre eserciti. Nell’ultima battaglia, che si tenne a ridosso del fiume Silarius, Crasso ottenne una vittoria decisiva, catturando 6000 schiavi dai contingenti di Spartaco.

Secondo il racconto di Plutarco, Spartaco si fece strada sul campo di battaglia cercando personalmente il confronto con Crasso, ma fu in grado di uccidere solamente due dei centurioni che costituivano la sua guardia del corpo. 

Dopo essersi opposto fieramente ai legionari romani, Spartaco venne ucciso armi in pugno e il suo corpo non venne mai più recuperato. Crasso, per dare una lezione esemplare a chiunque si fosse ulteriormente ribellato all’autorità romana, decise di crocifiggere i seimila schiavi che aveva catturato lungo la via Appia.

Nonostante Crasso avesse ottenuto la vittoria definitiva, Pompeo, giungendo con il suo  esercito giusto in tempo per abbattere un gruppo di gladiatori disorganizzati, riuscì a comunicare al Senato la notizia della vittoria prima di lui, prendendosi tutto il merito di quanto era avvenuto.

In particolare, Pompeo aveva fatto sapere ai senatori che era stato Crasso ad aver avuto ragione dell’esercito degli schiavi di Spartaco, ma che era stato lui stesso ad aver estirpato definitivamente la guerra dall’Italia. Crasso, notevolmente infastidito, non si permise di insistere per ottenere un Trionfo più grande di quello di Pompeo, dal momento che non vi era particolare onore nell’aver vinto un esercito di schiavi.

Questo, tuttavia, incrinò i loro rapporti.

I due avevano però lo stesso obiettivo: diventare consoli. Crasso era già stato pretore, come richiesto dalle leggi di Silla, e aveva tutto il diritto di puntare alla suprema magistratura della Repubblica. Pompeo, invece, non era mai stato né pretore né questore e aveva solamente 34 anni, ma aveva ideato un efficace programma politico volto a ristabilire la figura del tribuno della plebe, che le riforme di Silla avevano completamente svuotato di ogni potere.

Alla fine, il Senato scelse di nominarli entrambi come consoli.  Il loro consolato, tuttavia, fu particolarmente sfortunato: i dissidi tra i due bloccarono pesantemente le iniziative politiche l’uno dell’altro, e il clima stava diventando sempre più esposto ad episodi di violenza.

L’alleanza di Crasso con Pompeo e Cesare: il primo Triumvirato

Dopo il suo amaro consolato, Crasso venne eletto censore nel 65 a.C assieme a Catulo Capitolino, il figlio di un console. In questo periodo Crasso intravide in una giovane promessa della politica romana, Giulio Cesare, un valido alleato, che aveva la capacità di attrarre a sé un grande quantitativo di voti e di preferenze.

Crasso aiutò quindi Cesare ad ottenere il ruolo di Pontifex Maximus, elargendogli importanti quantità di denaro e pagando regolarmente i suoi debiti. La mediazione che Cesare fu in grado di compiere tra Crasso e Pompeo, componendo la loro lite e riportando l’armonia fra i due, portò alla formazione di un accordo privato noto come “Primo triumvirato”.

Secondo questo accordo, Pompeo e Crasso avrebbero sostenuto la candidatura di Cesare a console nel 59 a.C, e quest’ultimo, una volta ottenuto l’incarico, avrebbe fatto emanare una serie di leggi per redistribuire le terre ai legionari veterani di Pompeo, e avrebbe consentito a Crasso di ottenere delle importanti agevolazioni nelle province orientali, per accrescere ulteriormente il suo patrimonio.

L’accordo funzionò perfettamente: nel 55 a.C, mentre Cesare aveva iniziato la conquista delle Gallie, il triumvirato si riunì nuovamente negli accordi di Lucca per rinnovare gli accordi. Crasso e Pompeo vennero eletti nuovamente consoli e fu approvata una legge che assegnava la Spagna a Pompeo e la Siria a Crasso, per i cinque anni successivi.

La missione di Crasso con i Parti e la morte

Crasso ricevette il governatorato della Provincia di Siria come prevedevano gli accordi con Cesare e Pompeo. La Provincia gli avrebbe permesso di accrescere ulteriormente la sua già enorme ricchezza. Ma a Crasso questa non bastava. Sicuramente invidioso dei successi militari di Cesare e di Pompeo, Crasso voleva attraversare il fiume Eufrate e ottenere delle vittorie militari contro l’impero dei Parti.

I consiglieri militari di Crasso gli suggerirono di procedere a ridosso della costa per poter essere costantemente riforniti dalle navi e ottenere più facilmente dei rinforzi. Ma Crasso seguì alcune indicazioni da un capo locale, Ariamnes, che aveva assistito Pompeo nelle sue campagne orientali, e che gli aveva garantito che i Parti erano deboli e disorganizzati, e che un rapido attacco gli avrebbe permesso di vincere subito la guerra.

In realtà, si trattava di un’informazione falsa, ma Crasso decise, contrariamente al parere di tutto il suo stato maggiore, di proseguire nel bel mezzo del deserto partico.  Lontani da ogni fonte di acqua e disorientati, i legionari di Crasso persero immediatamente ogni speranza. Nel 53 a.C, le legioni di Crasso vennero sconfitte da una forza dei Parti numericamente inferiore, al comando del loro generale Surena.

Una volta di fronte al nemico, Crasso credette di poter utilizzare la tipica formazione a testuggine dei soldati romani per resistere alle frecce dell’avversario. Crasso riteneva che una volta terminata la scorta di dardi, i legionari avrebbero potuto passare ad un combattimento corpo a corpo. Ma alcune riserve di frecce che erano state tenute adeguatamente nascoste, permisero ai Parti di bersagliare i legionari per diverse ore, facendone strage.

Il figlio di Crasso, Publio, cercò di risolvere la situazione con un’ultima disperata carica di cavalleria contro il nemico: fu una autentica strage. Crasso vide il figlio morire sul campo di battaglia.

Il giorno dopo, i legionari chiesero a Crasso di venire a patti con Surena: abbattuto per la morte di suo figlio, il generale accettò di incontrare l’avversario in un luogo franco. Ma quando Crasso montò a cavallo per recarsi presso il campo dei Parti e avviare i negoziati di pace, il suo tribuno Ottavio sospettò che quest’ultimi avessero teso una trappola nei confronti del suo generale e afferrò il cavallo di Crasso per le briglie compiendo un movimento improvviso.

Ne nacque un tafferuglio con gli uomini di Surena durante il quale il generale romano venne ucciso. 

Il trattamento dei Parti nei confronti del corpo di Crasso fu orribile: secondo Dione Cassio, i Parti versarono dell’oro fuso nella gola di Crasso, per schernire la sua insaziabile fama di ricchezza.

Secondo altre fonti antiche, la testa di Crasso venne mostrata durante il matrimonio fra la sorella di Artavazde e Pacoro, il figlio ed erede del Re dei Parti, Orode II. Durante la rappresentazione della tragedia greca di Euripide “Le baccanti”, infatti, un attore avrebbe esibito la testa di Crasso, e gli avrebbe dedicato dei versi di scherno di fronte al pubblico intento ad applaudire.

Secondo Plutarco, i Parti ironizzarono anche sulla memoria di Crasso: un uomo che gli somigliava per corporatura ed aspetto fisico si vestì da donna e mimò la celebrazione del trionfo romano, prendendosi gioco del generale e delle tradizioni del popolo romano.