L’assedio di Sagunto. Il casus belli della seconda guerra punica

L’assedio di Sagunto fu un lungo e doloroso assedio condotto dalle forze di Annibale contro la città di Sagunto, alleata dei romani.

Gli storici identificano questo evento come il casus belli della seconda guerra punica e viene collocato tradizionalmente nel 219 a.C.

L’assedio durò per ben otto mesi, fino al 218 a.C., quando gli abitanti di Sagunto, ormai stremati, si arresero alle truppe cartaginesi e subirono un pesantissimo saccheggio.

La conquista dell’Iberia da parte dei cartaginesi

I cartaginesi erano presenti in Iberia già dal 237 a.C., e nel corso dei decenni avevano stabilito dei solidi rapporti militari e commerciali con le tribù del luogo.

Il principale fautore della conquista dell’Iberia fu Amilcare Barca. Padre di Annibale e membro di spicco dell’aristocrazia cartaginese, Amilcare divenne comandante delle forze puniche in Iberia e iniziò una guerra di conquista per assicurarsi il controllo delle miniere di oro e di argento della regione.

Tali ricchezze, formalmente, gli avrebbero permesso di pagare più velocemente l’indennità di guerra imposta dai romani dopo la sconfitta cartaginese nella prima guerra punica. In realtà era chiaro il disegno di Amilcare di organizzare la riscossa.

Alla morte di Amilcare, suo figlio Annibale si sentì investito della missione di vendicare l’onore di Cartagine e cercò in tutti i modi un pretesto per iniziare una nuova guerra contro Roma.

Partendo dalla città di Qart Hadasht, iniziò a sottomettere le popolazioni a sud del fiume Ebro, come gli Olcadi nel 221 a.C., e i Vaccei e i Carpetani nel 220 a.C.

L’obiettivo del generale cartaginese era quello di assicurarsi una solida base di potere che gli avrebbe permesso di lanciare le future offensive, prima contro la città di Sagunto e poi per la sua grande traversata nell’Europa.

L’avvicinamento di Annibale a Sagunto

Entro la fine del 220 a.C., dopo otto mesi di fortunata campagna militare, Annibale ritornò con il suo esercito a Hadasht per trascorrervi l’inverno.

Gli abitanti di Sagunto capirono che la guerra era imminente, soprattutto per via di alcune incursioni dei vicini popoli dei Turdetani o Turboleti, probabilmente sobillati dallo stesso Annibale.

I Saguntini mandarono immediatamente messaggeri a Roma, convincendo i romani ad inviare degli ambasciatori per cercare di frenare le mosse di Annibale e avvertire il generale punico che la città di Sagunto era alleata del popolo romano.

Lo storico Polibio ci racconta che la delegazione romana, guidata da Publio Valerio Flacco e Quinto Bebio Tamfilo, arrivò ad Hadasht e fu ricevuta in persona da Annibale.

I delegati romani chiesero al generale cartaginese di non intervenire contro Sagunto, la quale era sotto la diretta protezione di Roma, e soprattutto di non attraversare il fiume Ebro con il suo esercito, per rispettare un accordo stipulato tra i romani e Asdrubale già nel 226 a.C.

Ma la storiografia romana tramanda la figura di un Annibale pieno di arroganza e voglia di combattere. Annibale rispose di aver ottenuto il benestare del Senato cartaginese e assicurò ai romani che il suo obiettivo era porre fine agli abusi commessi dagli abitanti di Sagunto nei confronti dei vicini turdetani, alleati dei cartaginesi. 

Lo storico antico Polibio sottolinea quanto le argomentazioni di Annibale fossero poco più che pretesti, e che il cartaginese avrebbe avuto molta più credibilità se avesse chiesto la restituzione dell’isola di Sardegna, la quale era stata strappata ai cartaginesi dai romani sfruttando un momento di debolezza di Cartagine e in piena violazione dei trattati tra le due nazioni. 

Gli ambasciatori romani ebbero subito la sensazione che Annibale cercasse la guerra a tutti i costi e salparono per la città di Cartagine con l’intenzione di presentare le loro domande direttamente al senato cartaginese.

Nel frattempo, il senato romano, di fronte alla minaccia di una nuova guerra, cercò di adottare delle misure volte a consolidare le conquiste romane ad est, verso il territorio dell’Illiria.

L’attacco di Annibale contro Sagunto

Secondo lo storico Tito Livio, l’esercito di Annibale contava quasi 150.000 soldati, mentre gli abitanti di Sagunto disponevano di forze limitate per difendersi all’interno delle loro fortificazioni.

Inoltre, gli assediati avrebbero dovuto dividere le proprie truppe per resistere contemporaneamente su più fronti.

Anche se le cifre di Tito Livio sono probabilmente esagerate, è chiaro che l’esercito cartaginese godeva di un vantaggio evidente.

Annibale si avvicinò alle campagne circostanti Sagunto con il suo esercito, dando ordine di devastare i campi per impedire ai saguntini di rifornirsi di cibo. Poi, dopo aver allestito il proprio accampamento, fece circondare la città con un massiccio assedio su tre lati.

Gli attacchi di Annibale si concentrarono principalmente sulla parte occidentale delle mura, quelle rivolte verso la pianura circostante, attaccate con diverse macchine di assedio e con un grande numero di arieti.

Il cartaginese fece costruire anche un’alta torre d’assedio per colpire le parti maggiormente fortificate e sorvegliate da soldati veterani di Sagunto. 

Nel bel mezzo di questi scontri, sia Tito Livio che lo storico bizantino Zonara riferiscono di una ferita inflitta ad Annibale. Egli stesso, avvicinatosi eccessivamente alle mura, fu colpito alla coscia da un giavellotto: il suo esercito si spaventò e i soldati fuggirono, abbandonando quasi completamente l’assedio.

Annibale, ritornato nell’accampamento, dichiarò una tregua per curarsi, ma durante questo tempo diede ordine di costruire una nuova serie di fortificazioni attorno alla città, per continuare ad isolarla dalla regione circostante.

Ripresosi dalla ferita, gli scontri ricominciarono.

La resistenza di Sagunto e la nuova ambasciata romana presso Annibale

A poco a poco le mura della città iniziavano a scricchiolare sotto i ripetuti colpi di ariete, tanto che alcune parti delle fortificazioni erano ormai già crollate a terra con grande schianto. 

Ad un certo punto, i cartaginesi riuscirono a creare una breccia e tentarono di fare irruzione nella città, ma trovarono un muro di soldati saguntini pronti a difendere le loro case in un combattimento corpo a corpo.

Come racconta Tito Livio, “da una parte la speranza, dall’altra la disperazione aumentavano il coraggio”. I cartaginesi sapevano che sarebbero diventati i padroni della città, se solo avessero compiuto un ultimo sforzo, mentre i saguntini proteggevano con le loro armature una patria che non aveva più difese.

Gli abitanti di Sagunto riuscirono a mantenere le posizioni e a contrastare il nemico, anche grazie ad un’arma da lancio che incuteva grande timore tra i cartaginesi, la falarica, in grado di scagliare grosse frecce a grande distanza.

L’esito della battaglia fu incerto per molto tempo, ma alla fine i saguntini riuscirono ad allontanare i cartaginesi, che fuggirono attraverso le rovine delle mura, tornando in disordine nel loro accampamento.

Nel bel mezzo dell’assedio di Sagunto sappiamo, sempre da Tito Livio, che Roma inviò dei nuovi ambasciatori presso Annibale.

Il generale cartaginese, questa volta, non era intenzionato a riceverli e mandò dei messaggeri per intercettarli e avvertirli che sarebbe stato pericoloso sbarcare e avvicinarsi alle zone del combattimento.

Così, i diplomatici romani scelsero di recarsi direttamente a Cartagine per lamentarsi del comportamento di Annibale.

Il punico, intuendo le mosse dei romani, immaginò che le rimostranze degli ambasciatori latini avrebbero potuto fare presa sulla parte del senato cartaginese timorosa della guerra con Roma e decise di anticiparli sul tempo, inviando una serie di messaggi al partito Barcide, che deteneva il controllo politico di Cartagine.

Magnificando le sue vittorie e facendo intendere che Sagunto era sull’orlo del crollo, il senato cartaginese fu infervorato dalle parole di Annibale, e di fronte agli ambasciatori romani si schierò compatto a favore della sua campagna militare.

L’assalto finale a Sagunto

Annibale, dopo diversi mesi di assedio e constatando la fatica dei suoi uomini, promise che non avrebbe tenuto per sè alcuna parte del bottino e che le ricchezze conquistate sarebbero state divise interamente fra i soldati.

Mentre i Saguntini presero qualche giorno di pausa dai combattimenti per ricostruire parte delle mura crollate, Annibale guidò in persona l’assedio, facendo costruire una torre più alta delle mura e dotata di catapulte e baliste che iniziarono a distruggere le parti più delicate delle fortificazioni di Sagunto.

Finalmente, 500 veterani africani armati di piccone riuscirono ad aprire una breccia nelle mura di Sagunto, così che i soldati cartaginesi iniziarono ad affluire nella città.

Annibale riuscì quasi subito a conquistare una collina che dominava i principali sobborghi di Sagunto, mentre l’attacco congiunto di catapulte e baliste continuava ad indebolire le difese.

Gli abitanti di Sagunto furono quindi costretti ad erigere una nuova cinta muraria più piccola di quella precedente per proteggere i quartieri della città non ancora nelle mani dei cartaginesi.

Nonostante la loro resistenza disperata, gli abitanti di Sagunto non riuscirono a difendere il territorio. Inoltre, la mancanza di cibo e la conseguente carestia stava diminuendo visibilmente la forza tra le file dei difensori e la speranza dell’arrivo di un aiuto da parte di Roma era ormai tramontata.

Vi fu un solo momento in cui i Saguntini credettero di poter recuperare terreno. Accadde quando Annibale fu costretto a lasciare l’assedio e intraprendere una rapida azione militare contro le tribù dei Carpetani e degli Oretani, che avevano arrestato degli ufficiali cartaginesi.

I Saguntini sperarono che, con l’assenza di Annibale, sarebbero riusciti a cacciare i cartaginesi dalla città, ma il suo principale luogotenente, Maarbale, fu in grado di sostituire alla perfezione il ruolo di Annibale e gli attacchi contro Sagunto continuarono senza interruzioni. 

Tre grandi arieti riuscirono infatti ad abbattere gran parte delle mura, tanto che Annibale, al suo ritorno, mostrò estrema soddisfazione.

Si svolse quindi una nuova battaglia per il possesso della fortezza di Sagunto, dove già erano caduti molti soldati da entrambe le parti.

Vedendo che Sagunto era sull’orlo di crollare, alcuni aristocratici, guidati dal nobile Alcone, si recarono da Annibale, in piena notte, per cercare un accordo, ma le condizioni di resa imposte dal generale cartaginese erano troppo onerose.

Sagunto avrebbe dovuto restituire tutti i suoi possedimenti ai Turdetani, consegnare tutto l’oro e l’argento presente in città e gli abitanti avrebbero dovuto lasciare Sagunto con un solo capo di vestiti, per raggiungere un luogo stabilito dai cartaginesi.

Alcone, di fronte alla durezza di tali condizioni, preferì disertare e trasferirsi nell’accampamento cartaginese.

Constatato il fallimento di Alcone, i Saguntini proposero nuovamente la resa tramite dei messaggeri, guidati questa volta da Alorco, che era stato soldato nell’esercito di Annibale e che in quel momento era ospite dei Saguntini.

Mentre la parte principale della popolazione di Sagunto era radunata per discutere e dare una risposta ai cartaginesi, alcuni nobili iniziarono a raccogliere tutto l’oro e l’argento della città per fonderli e consegnarli ad Annibale.

Alcuni Saguntini, intenzionati a non arrendersi per nessun motivo, si gettarono nel fuoco, dando la precedenza agli uomini delle famiglie dominanti della città. Avvenne quindi, sotto gli occhi di Annibale, un agghiacciante suicidio collettivo, che faceva in realtà parte della cultura iberica e che spesso veniva utilizzato come soluzione per mantenere l’onore fino alla morte. 

Mentre la situazione di Sagunto sfociava nel tragico, avvenne l’epilogo. L’improvviso crollo di una delle torri della città, da tempo bersaglio dei proiettili cartaginesi, consentì ai soldati di Annibale di entrare attraverso un’inaspettata breccia nelle mura, mentre la popolazione era ancora riunita nella piazza principale per trattare con il generale cartaginese.

Annibale capì che non poteva più aspettare e che era giunto il momento di porre fine all’assedio, dando ordine di annientare le ultime sacche di resistenza.

La strage della popolazione che scelse di non suicidarsi fu immane e la città, dopo alcuni giorni di pura violenza, cadde, lasciando ai vincitori un immenso bottino.

Le conseguenze e lo scoppio della guerra

La caduta di Sagunto rappresenta una ferita nella politica romana del tempo.

Il Senato comprese l’errore di non intervenire nel difendere le città e i popoli alleati, con tutte le conseguenze politiche del caso.

I romani cercarono di glorificare il coraggio, la lealtà e la resistenza dei Saguntini di fronte agli attacchi di Annibale, ma è entrata nella storia la frase di Livio.

Dum Romae consulitur, Saguntum expugnatur
(Mentre a Roma si discute, Sagunto viene espugnata) 

Tito Livio ha spesso sottolineato il fatto che il Senato romano non aveva ancora deciso se inviare un’ambasciata ad Annibale che quest’ultimo aveva già iniziato l’assedio della città.

Gli aristocratici persero tempo nel decidere se inviare i consoli di quell’anno in Iberia oppure in Africa, se l’esercito si sarebbe dovuto preparare per una spedizione terrestre o marittima e se la guerra doveva essere intrapresa solamente contro Annibale o contro tutti i cartaginesi.

Nel frattempo, la città di Sagunto, stremata da mesi di carestia, battaglie e disperazione, venne completamente distrutta.

Tutte le ricchezze della città vennero accantonate in preparazione dell’imminente campagna militare, gli schiavi distribuiti tra i soldati e il resto del bottino inviato a Cartagine come trofeo di guerra.

Roma intervenne inviando una tardiva ambasciata nella capitale punica per chiedere che gli fosse consegnato Annibale, ma con le ricchezze provenienti dall’Iberia e con il partito favorevole alla guerra che aveva riconquistato fiducia in Annibale, il conflitto era inevitabile.

Nonostante l’intervento dell’aristocratico cartaginese Annone il Grande, che cercò di ricordare ai romani che il Trattato dell’Ebro del 226 a.C., in fondo, era stato rispettato, Roma dichiarò guerra a Cartagine.

Era la fine dell’anno 219 a.C. ed era scoppiata la seconda guerra punica.

Solo nel 214 a.C. Publio e Gneo Scipione, rispettivamente padre e zio di Scipione l’Africano, riconquisteranno la città dai cartaginesi. Durante le operazioni militari, gli abitanti di Sagunto, prigionieri nelle mani dei cartaginesi, furono liberati dai romani e ottennero il permesso di rientrare nella loro città.